Congo amaro
“Congo amaro per l’Italia”, è il titolo dell’articolo di Marco Boccitto pubblicato da Il Manifesto del 23 febbraio che racconta l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo nel Nord Kivu. Il link con l’articolo è il seguente: https://ilmanifesto.it/congo-amaro-per-litalia/
Va detto che il Congo è storicamente amaro e per intero. Fra i tanti, ecco quattro casi di Congo amaro.
Leopoldo II e il Congo amaro per gli schiavi
Significativa e terrificante è la foto di un padre, Nsala, che contempla sconsolato il piede e la mano tagliati alla figlia, Boali, di cinque anni.
La bambina, Boali, venne mutilata e uccisa, insieme alla madre. Durante la giornata di lavoro non aveva raggiunto la quota del raccolto della gomma. Terminate le disumane punizioni, i mercenari si presentarono da Nsala con mano e piede della figlia ormai morta e psicologicamente assassinarono anche lui.
Questa brutta storia è testimoniata da una foto (puoi guardare qui l’immagine, ma avvertiamo che ha contenuti forti) scattata da Alice Seeley Harris, missionaria inglese, che ebbe il merito di far conoscere al mondo e alla storia le atrocità che venivano commesse in Congo.
Pochi paesi hanno un’eredità più razzista, coloniale e macchiata di sangue del Belgio. E pochi personaggi storici sono stati più criminali di Leopoldo II, che detenne il Congo come una sua proprietà terriera e fu responsabile della morte di milioni di congolesi.
Leopoldo II subappaltò il Congo a bande di mercenari altrettanto criminali, che sfruttarono brutalmente le risorse naturali di quel paese. Agli abitanti del Congo, ridotti interamente in schiavitù, veniva imposta la raccolta di una quota giornaliera di gomma naturale, il caucciù, che doveva esser rispettata giornalmente. Per chi non riusciva a rispettare la quota era previsto il taglio della mano. O peggio.
Congo amaro per Patrice Lumumba
Il 17 gennaio 1961 Patrice Lumumba, leader indipendentista e primo ministro del Congo, viene brutalmente assassinato assieme a due suoi ministri, Joseph Okito e Maurice Mpolo.
Lumumba divenne il primo primo ministro del Congo, da poco indipendente nel 1960, quando aveva solo 34 anni, dopo aver sostenuto la fine del dominio coloniale. Ma dopo un colpo di stato militare e l’ascesa del dittatore Mobutu Sese Seko, Lumumba fu arrestato e incarcerato.
Fu assassinato dai separatisti congolesi, diretti da ufficiali belgi. Il corpo smembrato e sciolto con l’acido, per impedire che una sua tomba diventasse meta di pellegrinaggio. Lo ha raccontato il generale belga Gèrard Soete che diresse l’assassinio.
«Era il 17 gennaio 1961. Avevamo fucilato Lumumba nel pomeriggio e l’avevamo seppellito con gli altri. Tornammo nella notte e vedemmo che le mani dei cadaveri spuntavano dal terriccio. Era una calda notte africana, abbiamo cominciato ad ubriacarci per avere il coraggio di compiere una simile operazione. Prendemmo l’acido, quello che si usa per le batterie delle automobili, dissotterrammo i corpi, li facemmo a pezzi con l’accetta; il lavoro più duro fu quello di staccare le membra; poi li sciogliemmo in un barile pieno di acido. Nulla è restato a parte qualche dente. Mi ricordo dell’odore. Insopportabile. Mi sono lavato tre volte dopo ma per giorni sentivo la puzza. Mi sentivo un barbaro».
Rimase solo un dente, che su decisione di un tribunale belga fu restituito alla figlia Juliana Lumumba e ai famigliari lo scorso settembre. Cia e Belgio furono i responsabili, i mandanti dell’assassinio di Patrice Lumumba, Joseph Okito e Maurice Mpolo.
Un libro del 2001 di Ludo de Witte, sociologo, storico e scrittore belga, “The Assassination of Lumumba”, ha svolto un compito importante nello stabilire i fatti degli ultimi giorni di Lumumba e la responsabilità del Belgio per quanto accaduto, e quindi degli Usa. Purtroppo il libro è stato tradotto e pubblicato in inglese, ma non in italiano.
Congo amaro per Ernesto Che Guevara
Era abitudine di Ernesto Che Guevara tenere un diario personale con le osservazioni giornaliere dei fatti. Lo tenne a Cuba, in Bolivia e anche in Congo, Pasajes de la guerra revolucionaria en Congo. Come avvertenza preliminare al diario congolese scrisse: «Questa è la storia di un fallimento».
E infatti la spedizione cubana contro la dittatura di Ciombè e Mobutu fu un tragico fallimento che fece riflettere il Che. Il diario offre il resoconto e l’analisi critica della prima missione internazionalista di Cuba e del sogno irrealizzato di aiutare alcune nazioni africane a riscattarsi dal colonialismo.
Dopo l’assassinio di Patrice Lumumba, primo ministro della repubblica indipendente del Congo, il Consiglio Supremo della Rivoluzione, diretto da Soumialot, chiede l’appoggio dei cubani contro il generale Mobutu che, approfittando della guerra civile, ha preso il potere con il favore di Belgio e Francia. Ernesto Guevara, che vede in questa operazione un’occasione storica per spezzare le radici dell’imperialismo, accetta, nei primi mesi del ’65, la proposta di Fidel Castro di guidare un centinaio di combattenti cubani per istruire e coordinare le truppe della resistenza organizzata da Kabila, Mulele e Gizenga.
La situazione generale, però, si rivela subito problematica e mette in crisi ogni speranza. La miseria nella quale la popolazione è stata tenuta per secoli fa sentire ancora i suoi effetti. Inoltre l’esercito è indisciplinato e male addestrato, i capi militari non hanno un rapporto abbastanza stretto con i loro uomini, le divisioni tribali sono fortissime e ostacolano l’unificazione delle forze.
Guevara si rese conto presto che il viaggio non era ben preparato: al di là del lago Tanganika non c’era praticamente nulla, se non un’ottima disposizione della popolazione locale, mentre i dirigenti come Kabila vivevano a Dar es-Sala’m, «comodamente installati in albergo». Di essi il Che osservava che «hanno fatto della loro situazione una vera professione, un mestiere a volte lucroso e quasi sempre comodo».
In genere vantavano grandi successi e asserivano di provenire dall’interno del Paese, ma insistevano per essere addestrati a Cuba, reagendo freddamente o addirittura con astio quando Guevara spiegava loro che «il soldato rivoluzionario si forma in guerra» e proponeva quindi di «non effettuare l’addestramento nella lontana Cuba, ma nel vicino Congo, dove si lottava, non contro un fantoccio qualsiasi come era Ciombè, ma contro l’imperialismo nel suo aspetto neocoloniale».
Dopo alcuni mesi di tentativi, il Che annota nel suo diario che il progetto di formare un esercito rivoluzionario si va sfaldando nelle sue mani perché il Paese sembra non avere capacità di lottare. Gli insuccessi militari e le diserzioni mettono fine alla missione e, nel novembre del ’66, Fidel Castro, con una lettera, convince il Che a tornare a Cuba.
Congo amaro per il coltan
Il sottosuolo del Congo è ricco fra l’altro anche di petrolio, oro, argento, uranio, ma è con l’aumento della richiesta mondiale di coltan (coltan è la contrazione di columbite-tantalite e il suo valore dipende proprio dall’alto o meno tenore di tantalite) che si è fatta più accesa la lotta fra gruppi paramilitari e guerriglieri per il controllo dei territori congolesi di estrazione.
Un’area particolarmente interessata è proprio la regione del Kivu dove è avvenuto l’attacco del 22 febbraio. Ed è da un ventennio che rapporti Onu denunciano come i proventi del commercio semilegale di coltan, il ‘nuovo oro’, e di altre risorse naturali pregiate abbiano alimentato la guerra civile composta da vari conflitti regionali. Che tra il 1996 e il 2003, proprio nell’est del Paese dove si trova il Kivu, ha causato la morte di milioni di persone, soprattutto di fame e malattie.
Uno sfruttamento del sottosuolo di cui fanno le spese anche un elevato numero di bambini-minatori, spinti o costretti ad esempio ad estrarre in condizioni disumane e dannose per la salute il cobalto, utilizzato almeno da una trentina tra i più noti marchi tecnologici e automobilistici, come ha denunciato a due riprese Amnesty International nel 2015 e 2017.