L’Italia unita compie 160 anni. Oggi il nostro paese avrebbe potuto festeggiare con eventi solenni e manifestazioni un anniversario importante. Lontano è però il ricordo dei festeggiamenti nelle piazze e degli eventi organizzati per i centocinquant’anni dall’unificazione. Era il 2011 e l’Italia cercava motivi di orgoglio e riscatto per venir fuori da una lunga crisi economica.
L’anniversario ora cade nuovamente in uno dei momenti più bui per la storia del nostro Paese, in piena era Covid-19. La pandemia sta mettendo a dura prova il Belpaese, fiaccandolo dopo anni in cui la sfiducia nei confronti delle istituzioni e delle nostre capacità è aumentata, insieme alle divisioni interne.
Raccontare l’Italia in modo diverso
Gli italiani hanno da sempre coltivato un rapporto complesso nei confronti del proprio Paese. Non siamo un popolo davvero unito, ma in costante conflitto interno. Alcune ombre inquietanti nella nostra storia ci hanno fatto disinnamorare di una patria che è tra le più belle e ricche del mondo. Siamo ammalati spesso di esterofilia, prendendo ad esempio modelli altrui, magari troppo frettolosamente.
Pur non negando le contraddizioni, i misteri di stato, le fragilità del nostro Paese, oggi sarebbe bello provare comunque a raccontare l’Italia in modo diverso. Andare oltre la retorica autoindulgente di uno stato sconfitto, immobile, incapace, ricordando invece i motivi di orgoglio, cercando di proporre una narrazione diversa, che possa indurci a lottare senza alibi per un futuro migliore. Evocheremo quindi i momenti più belli e le parole che più ci hanno reso orgogliosi di essere italiani. Cantava Riccardo Cocciante nel 1991 “Se stiamo insieme ci sarà un perché” e quest’oggi sarebbe bello scoprirlo insieme. Lo faremo attraverso una poesia, una canzone, un’immagine, un libro e una frase.
La poesia: “Per la prima grande esposizione nazionale”, Laura Beatrice Oliva, 1861
“Nell’arte industre della gentil vittoria
Si nega alla tua man, che avviva i marmi:
Ed ogni popolo che ne aspira al vanto
Ti rivolge superbo il suo compianto”
Non poteva non iniziare nel 1861 questo viaggio e non poteva che partire da una donna. Abbiamo bisogno di ritornare alle nostre radici, se vogliamo costruire un Paese nuovo. Abbiamo inoltre il dovere di riscoprire la nostra storia senza dimenticare alcun aspetto, come il contributo dato alla letteratura e alla storia d’Italia, colpevolmente poco conosciuto, dalle grandi poetesse del Risorgimento. Laura Beatrice Oliva è stata un’importante scrittrice italiana, definita la “poetessa del Risorgimento nazionale”. Il suo impegno nei moti del 1848 a Napoli la costringe all’esilio torinese. Qui compone le poesie che saranno raccolte nel 1861 in “Patria e amore”. Racconta l’autrice: “La maggior parte di esse furono dettate durante la mia lunga dimora in questa città gentile di Torino, ch’io non chiamava mai terra d’esiglio, essendomi cara quanto la stessa mia terra Natale”.
Tra questi componimenti colpisce quello scritto “Per la prima grande Esposizione delle industrie e delle arti nazionali”. In questi versi, di cui riportiamo un piccolo estratto, non si tacciono le amarezze per la difficile storia del nostro popolo, la cui mano è in grado di creare grandi bellezze, ma il cui “Genio” è stato soffocato da potenze straniere prima dell’unificazione. Accanto a questa consapevolezza però emerge lo sguardo fiducioso nella conclusione, un vero augurio per tutti i cittadini del Belpaese, in vista del mondo che verrà:
“Così di libertà l’eterna idea
Sovra ogni oppresso il raggio egual distenda:
E ancora o Italia il genio tuo fecondo
Brilli qual faro all’avvenir del mondo”
La canzone: “Viva l’Italia”, Francesco De Gregori, 1979
“Viva l’Italia” arriva in un momento particolare per la nostra storia. L’Italia sta venendo fuori con fatica dagli anni della violenza politica. La canzone è tutt’altro che indulgente. L’Italia secondo Francesco De Gregori è “assassinata dai giornali e dal cemento”, è “dimenticata e da dimenticare”, è “nuda come sempre”. Non mancano i riferimenti alla strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana, una delle pagine più infami della nostra storia. Però il testo della canzone nel complesso ci restituisce il commovente ritratto di un Paese unito, “Viva l’Italia tutta intera”; che sa sognare e immaginare un futuro diverso, “L’Italia sulla Luna”; che non si arrende, “L’Italia che resiste”.
L’immagine: l’urlo di Tardelli, 1982
Dopo pochi anni quel Viva l’Italia diventerà un urlo che sarà condiviso da tutti i cittadini. È il 1982, l’Italia vince a Madrid l’11 luglio il suo terzo titolo mondiale nello sport più amato e praticato nella penisola, in una finale che oppone gli azzurri agli storici rivali tedeschi. La gente festeggia nelle strade e nelle piazze. Il presidente partigiano Sandro Pertini esulta accanto al monarca spagnolo Juan Carlos. Indro Montanelli scriverà in un corsivo che Giuseppe Garibaldi aveva avuto bisogno di mille uomini per unire il paese, mentre all’allenatore della nazionale Enzo Bearzot ne sono bastati undici. Malgrado qualcuno dirà che in fondo è solo una partita di calcio, quella vittoria forse rappresenta il momento di maggiore gioia e fierezza, seppur ingenua, della storia repubblicana. Una felicità capace di far dimenticare le paure degli anni di piombo. Quel giorno infine ha regalato una delle più iconiche immagini del nostro Paese vincente nel mondo: l’urlo di Marco Tardelli dopo il secondo goal nel 3 a 1 inflitto ai tedeschi. Un’immagine che ci racconta una nazione diversa dalle narrazioni vittimiste, che lotta contro avversari temibili e a volte gioisce.
Il libro: “Sentimento italiano”, Valerio Massimo Manfredi, 2019
Un anno prima della pandemia, lo scrittore e archeologo Valerio Massimo Manfredi firma un breve libro molto diverso dai precedenti. In parte una biografia, in parte una lettera d’amore al Belpaese. Manfredi ha riportato in vita per anni, attraverso i suoi romanzi storici, i fasti delle civiltà antiche del Mediterraneo, in particolare della cultura greca e romana. Con questo libro invita anche a guardare, senza cedere alla retorica sciovinista o nazionalista, con maggior amore e rispetto alla nostra storia, ricordandone le ragioni di vanto e le peculiarità, secondo lo scrittore, inimitabili. Il professor Manfredi rammenta le origini del nome Italia, che possiamo rintracciare in Calabria, biasima coloro che inneggiano alle divisioni e canzona alcune opere e pellicole straniere spesso denigratorie e ricche di stereotipi.
La frase: “Amiamo la libertà, ma anche la serietà”, Presidente Sergio Mattarella, 2020
“Una scusa per gli italiani per non fare niente”, così il medico e presentatore inglese Christian Jessen deride gli sforzi dei cittadini dello stivale ad inizio pandemia, mentre il governo Conte deve varare il lockdown. Una scelta che poi ben presto è stata imitata in tutto il mondo e anche dall’Inghilterra. Qualche mese più tardi di fronte a una gestione della pandemia da molti criticata in Gran Bretagna, il premier Boris Johnson lancia un’altra accusa indiretta anche alla nostra cultura politica: “C’è un’importante differenza tra il nostro Paese e tanti altri Stati nel mondo. E cioè che noi amiamo la libertà”.
Non è una novità, l’atteggiamento di supponenza inglese nei nostri confronti ha radici antiche. Una tendenza però spesso avvallata da una parte degli italiani. Molti intellettuali si sono lasciati convincere da una rappresentazione forse troppo idilliaca delle superpotenze anglofone. Hanno finito per condividere e giustificare atteggiamenti di questo tipo sia i liberali negli anni della Guerra fredda, sia una parte della sinistra nell’era del berlusconismo.
Come è accaduto però poche volte nella storia del nostro Paese, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha deciso di opporsi a questa narrazione: “Noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore anche la serietà”. Una frase probabilmente frutto di diversi fattori storici: la crisi politica e culturale che ha attraversato il Regno Unito negli ultimi anni e ne ha reso più vulnerabile l’immagine; la prova di rigore che ha dato l’Italia nella scorsa primavera.
Pensare il Paese in modo nuovo, guardando al mondo che verrà
Proprio le parole di Mattarella hanno colpito l’opinione pubblica italiana. Alcuni le hanno definite doverose per chi doveva difendere l’immagine dello stato, sottolineando però come siano ancora un po’ lontane dal descrivere davvero il nostro paese.
Possono rappresentare comunque un buon punto di partenza. Forse siamo stati a volte davvero troppo severi verso noi stessi, dobbiamo ricominciare a guardare con più obiettività sia alle ombre che alle luci del nostro e degli altri Paesi. Andare oltre la comoda ed eterna immagine di una patria stanca, immobile, dove mancano serietà e ordine, concedendoci più fiducia nel momento in cui dovremo costruire l’Italia che verrà.
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