Uno sguardo sulla Venezia ribelle
Il 25 marzo Venezia ha compiuto 1600 anni. La storia millenaria della città lagunare, che ha rappresentato un punto di ingresso delle culture orientali in Europa, è ricca di avvenimenti culturali, artistici, economici. Sia nel bene che nel male, la Serenissima ha lasciato una impronta indelebile nello spazio terracqueo in cui è passata. In questo articolo, però, ci concentreremo su alcuni fatti della storia contemporanea di Venezia, marcata da una spiccata effervescenza politica, sociale e da importanti trasformazioni del tessuto urbano e produttivo.
Oggi si sente spesso dire che Venezia è diventata un museo a cielo aperto, poiché tutto ruota attorno al turista e l’autoctono ha perso i propri spazi. In parte questa affermazione è vera, però esistono una miriade di luoghi in cui è possibile vivere “da” veneziani e che raccontano la storia popolare contemporanea della città lagunare.
Guida alla Venezia ribelle
Sono stati diversi i percorsi, in epoca contemporanea, che hanno rappresentato questo volto della città, sia in terraferma che nel centro storico. La mia stella polare sarà Guida alla Venezia ribelle, edito da Voland, di cui adotterò il filo logico sia temporale che spaziale. Le due autrici, Beatrice Barzaghi e Maria Fiano, hanno deciso di realizzare una guida non convenzionale di Venezia concentrandosi non tanto sui monumenti della città e sulla storia millenaria della Repubblica, quanto su quei luoghi che hanno rappresentato e dato forma alla Venezia di oggi. La prospettiva dalla quale si pongono le due autrici conferisce risalto alla parte “popolare”, alle mobilitazioni di operai e studenti e agli spazi creati e vissuti da essi, evidenziando l’intreccio con gli artisti che hanno attraverso la città, Diego Valeri ed Emilio Vedova su tutti.
Venezia è una città unica al mondo: per come si sviluppa la vita quotidiana delle persone che vi abitano, per la struttura architettonica, per la forma (vista dall’alto sembra un pesce), per il luogo in cui è costruita. Il viaggiatore che non l’ha mai vista di persona, che ne ha sentito solo parlare o che ha visto semplicemente delle foto non riesce ad immaginare cosa significhi vivere e passeggiare per le calli di Venezia, attraversando le centinaia di ponti che fungono da arterie di passaggio per le persone che ogni giorno affollano la città.
Venezia è ribelle alla radice:
«sfida il delicatissimo equilibrio tra terra e acqua, sorge su pali di legno piantati nella laguna, cresce ricca di edifici, chiese, palazzi e strade mettendo in discussione le leggi della fisica, sopravvive grazie ad un continuo ‘passo a due’ tra l’uomo e l’ambiente circostante. Potenza marittima, ha saputo e voluto confrontarsi con popoli vicini o lontani, spesso per accoglierli e farli sentire a casa propria, mescolando usanza, lingue, cibi» (Barzaghi & Fiano, 2014).
Le lotte femministe alla Manifattura Tabacchi
Ma facciamo un passo indietro e andiamo tra il XIX e il XX secolo. Guida alla Venezia ribelle inizia il suo percorso da Santa Marta, una zona vicino a piazzale Roma, precisamente da campo Sant’Andrea e da fondamenta della fabbrica dei tabacchi. Qui alla fine del 1700 nasce la Manifattura Tabacchi, la quale diede lavoro a circa 1500 operai e operaie, in maggioranza donne,
«che diventarono presto simbolo dell’emancipazione femminile in fabbrica e in città e protagoniste delle lotte operaie d’inizio ‘900».
Le operaie di questa fabbrica saranno protagoniste di mobilitazioni per il riconoscimento dei diritti fino alla seconda metà del XX secolo e, negli anni ’70, formano all’interno dello stabilimento il primo collettivo di donne per la tutela della salute e per la parità di trattamento.
Santa Marta
Santa Marta conosce uno sviluppo importante negli anni ’30 grazie alle industrie limitrofe e al potenziamento della stazione ferroviaria. Diventa una zona popolare con la creazione di palazzine per ospitare gli operai, la nascita del campo sportivo e della squadra di baseball. Negli anni a seguire fino alla fine degli anni ’70 questa zona rappresenta il punto di avvio di numerose campagne a favore della sensibilizzazione ambientale, per il diritto alla casa e iniziative come l’autoriduzione delle bollette. Inoltre, qui le femministe aprono uno dei primi consultori dando il via alle lotte per il diritto all’aborto.
Un altro luogo fulcro di numerose vertenze è il cotonificio, il quale diede lavoro a circa 1000 operai e operaie, anche qui perlopiù donne. A seguito dei primi cambi di proprietà e ai rischi di licenziamento, negli anni ‘40 i lavoratori e le lavoratrici avviano una stagione di lotte a favore del posto di lavoro, per il salario e per la riduzione dell’orario. Ma la geografia mondiale della produzione nel secondo dopoguerra muta e inizia la crisi per diverse fabbriche veneziane: negli anni ’70 il cotonificio chiude e al suo posto verrà aperta la sede universitaria dello Iuav.
Sgomberi, arresti e solidarietà
Qui vicino, presso fondamenta dei cereri, c’è la sede della scuola materna Diego Valeri che, fino agli anni ’70, ospitava il convitto Francesco Biancotto, dal nome del partigiano fucilato in giovanissima età dal regime fascista. Nel post-guerra questo istituto verrà utilizzato per offrire un’educazione agli orfani dei partigiani di diverse regioni e degli operai licenziati. Il sistema educativo rappresentò un’innovazione rispetto ai metodi tradizionali, in quanto toccava lo studio ma anche il tempo libero dei “biancotti” (così venivano chiamati gli studenti e le studentesse dell’istituto), iniziandoli ad attività teatrali, sportive e culturali di vario genere.
Tuttavia, in un’epoca in cui il comunismo aumentava la sua influenza, la paura di una sua espansione portò il governo ad etichettare come sovversive diverse attività, tra cui quella dell’istituto Biancotti. Nei primi anni ’50 l’Ente gioventù italiana, proprietario dello stabile, ordinò lo sgombero e diversi educatori furono arrestati. Ma era anche un’epoca di forte solidarietà. Infatti, gli operai di Marghera bloccarono le loro attività e andarono ad offrire sostegno al Biancotti, mentre il poeta Diego Valeri inveì contro la polizia. Malgrado la resistenza, il convitto chiude negli anni ’70, e il Comune in seguito vi istituì la scuola materna Diego Valeri.
Campo S.Margherita e le osterie rosse
L’effervescenza politica e sociale ha come perno campo Santa Margherita dove, a partire dagli inizi del 1900 si tengono comizi, assemblee e le lotte dei lavoratori portuali (questo campo dista pochi minuti dalla stazione marittima). In molti casi, i luoghi di ritrovo erano osterie “rosse”, dove
«le monete di resto delle bicchierate, chiamate la ‘parte maledetta’, venivano utilizzate per le sottoscrizioni ai giornali e agli opuscoli socialisti».
Inoltre, durante il biennio rosso e nei primi anni di regime fascista, campo Santa Margherita è uno dei luoghi dove la resistenza al fascismo è più forte, teatro di diversi scontri tra socialisti e squadristi. Nel corso degli anni, qui e nelle zone limitrofe (campo San Tomà e calle del Capeler) diverse osterie e bacari diventeranno il ritrovo di cellule della Resistenza e, tra gli anni ’60 e’70, di collettivi studenteschi e dei gruppi della sinistra extra-parlamentare. Ad esempio, qui verrà fondato il primo “Circolo proletario veneziano”, antesignano dei futuri centri sociali.
Lotte a Marghera
La fisionomia di Venezia muta profondamente quando viene fondato, negli anni ’30, il polo industriale di Marghera e il ponte che collegherà il centro storico con la terraferma (come dicono i veneziani, «se non ci fosse il ponte l’Europa sarebbe un’isola»). Questa trasformazione lascerà il segno per gli anni a venire, sia dal punto di vista dell’economia che da quello della ribellione. Attorno a questo polo si espande la municipalità di Marghera,
«testimone di lotte memorabili e storiche rivendicazioni […] lotte per i diritti degli operai, per l’accoglienza dei nuovi cittadini immigrati, che qui vivono in numero massiccio, per la salute, l’ambiente, per la buona cittadinanza».
Ma uno degli effetti dell’ambiente industriale è la nascita, oltre che dei più importanti movimenti politici della sinistra extra-parlamentare, anche di gruppi e movimenti artistici e intellettuali, che si ritrovano nei locali di via Fratelli Bandiera. Qui troviamo la sede del centro sociale Rivolta, nato negli anni ’80 sulla base di attività politiche e di lotta in favore dei diritti ambientali e contro l’inquinamento industriale dovuto al petrolchimico. Nei primi anni del 2000, in seguito a diversi tentativi di sgombero da parte del Comune, le parti raggiungono un accordo e la sede viene data in gestione alla cooperativa Officina Sociale. Tra le attività che il centro sociale continua a portare avanti, una delle più importanti è l’organizzazione di spettacoli musicali, ai quali aderiscono gruppi come la Banda Bassotti, gli Assalti Frontali e i Marlene Kuntz.
Ma il polo industriale ex Breda Fincantieri è stato centrale anche per la lotta contro il regime fascista. Qui, infatti, nel 1944 venne indetto uno sciopero di oltre una settimana che coinvolse circa 20 mila lavoratori, che verrà sedato con la deportazione e l’arresto di alcuni di essi.
Le azioni di lotta proseguiranno anche nella seconda metà del secolo, con il petrolchimico che rappresenta uno dei fulcri principali con proteste non solo contro i padroni, ma anche contro il Pci e i sindacati troppo attendisti:
«Il petrolchimico è il simbolo delle lotte operaie e sindacali, in particolare i murales nel capannone in cui si riuniscono i lavoratori per le loro assemblee raccontano ancora oggi il fermento politico che si respirava in questo luogo, di cui è stato protagonista anche Antonio Negri […] Marghera è stata e rimane laboratorio e fucina di mutamenti sociali, un luogo in fermento segnato da tutti i passaggi storici ed epocali dell’ultimo secolo».
Dalle fabbriche al turismo di massa
La transizione da un modello economico incentrato sulla fabbrica ad un turismo incontrollato ha avuto effetti tangibili sulla laguna e sulla vita dei cittadini, facendo emergere una tensione tra modernità e tradizione. È interessante notare come una delle conseguenze della transizione tra i modelli economici suddetti sia stato lo spopolamento della città, passando dagli oltre 100 mila abitanti del post-guerra ai circa 50 mila odierni. Parallelamente, in particolar modo dagli anni ’70, il numero di visitatori ha conosciuto un incremento senza pari, raggiungendo oggi le 24 milioni di unità annuali.
Se da un lato l’aumento smisurato del turismo ha favorito la circolazione della ricchezza – seppur con un accentramento dei profitti nelle mani di poche imprese legate al turismo e alla propagazione di tipi di lavoro precari, come ad esempio i contratti a chiamata – dall’altro ha implicato un maggiore impatto ambientale (sia urbano che naturale) e un aumento di negozi di bigiotteria e di souvenir di bassa qualità a discapito dell’artigianato locale.
Sulla base di queste contraddizioni, negli ultimi anni si sono attivati diversi comitati a tutela di quello che può essere definito come “ecosistema Venezia”. Tra i più attivi da questo punto di vista troviamo indubbiamente il “No Grandi Navi” e la pagina Facebook (oggi anche su Instagram e Telegram) “Venezia NON è Disneyland”, quest’ultima nata dalla volontà di un gruppo di persone che si oppongono alla trasformazione di Venezia in un parco gioco a cielo aperto.