Patrice Lumumba, il sogno infranto di un altro Congo
A pochi giorni dall’assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo nel Nord Kivu, il Congo è ancora sotto i riflettori dei media italiani. Per capire la storia tormentata di questo Paese africano (leggi su questo anche l’articolo di Francesco Cecchini Congo amaro), è inevitabile approfondire le gesta di un personaggio che ne ha segnato dapprima l’affrancamento dalla madrepatria belga, poi l’indipendenza. Ma gli ambiziosi progetti del leader indipendentista si scontrarono con le logiche geopolitiche e con gli interessi strategici delle potenze occidentali. Con un epilogo tragico.
Chi era Patrice Lumumba
Patrice Émery Lumumba nacque il 2 luglio 1925 in un villaggio situato nella provincia del Kasai in Congo, a Onolua. Nato da famiglia cattolica, membro di uno dei gruppi etnici minoritari del Paese, i batetela, Lumumba ebbe la possibilità di frequentare la scuola missionaria.
Nel campo dell’istruzione la politica coloniale belga si fondava su una stretta collaborazione con i missionari cattolici e il Congo rappresentò la colonia europea in Africa con il più alto livello di accesso all’istruzione primaria.
Sebbene avesse frequentato la sola scuola primaria, Lumumba si rese ben presto conto di voler ampliare i suoi orizzonti culturali e affinare le proprie conoscenze. A diciott’anni, nel ’43, decise di lasciare il villaggio d’origine per trasferirsi in una delle città più importanti, Stanleyville, oggi Kisangani.
Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale: anche l’Africa, assieme all’Europa, è impegnata nello sforzo bellico sia attraverso la produzione di materie prime strategiche – basti pensare che le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki furono costruite con l’uranio proveniente proprio dal Congo – sia attraverso la partecipazione diretta dei soldati africani impegnati nei diversi fronti.
Dal colloquio con il re al carcere
Giunto in città, Lumumba si iscrisse ad un corso per diventare impiegato postale: verrà poi assunto nel 1948. Fu qui e in questo periodo che Lumumba sviluppò la sua formazione politica; affinò il suo francese, s’interessò di storia e filosofia politica, ma soprattutto iniziò a collaborare con diversi giornali locali.
Spinto dalla passione politica aderì all’associazione degli évolué di Stanleyville, di cui diverrà il presidente. Gli évolué erano coloro che avevano raggiunto, secondo i parametri dell’amministrazione coloniale belga, un certo grado di europeizzazione, arbitrariamente misurata attraverso lo stile di vita, la conoscenza del francese e l’adesione al cristianesimo.
In qualità di presidente dell’associazione degli évolué, Lumumba nel 1955 venne invitato a un ricevimento ufficiale nel giardino del governatore, dove per l’occasione si era recato anche un ospite illustre, il re del Belgio Baldovino II, in Congo per una visita ufficiale.
Durante la visita Lumumba stupì i presenti in sala avvicinandosi e rivolgendosi direttamente al re, con il quale conversò per diversi minuti. Conversazione che evidentemente colpì il sovrano, che un anno più tardi, nel 1956, invitò Lumumba stesso, assieme ad altri 15 évolué congolesi, a una visita ufficiale nella capitale belga, Bruxelles. Evento alquanto raro per il contesto: il Belgio, infatti, a differenza di altre potenze coloniali come Gran Bretagna e Francia, che davano la possibilità ai coloni meritevoli di studiare presso i propri istituti accademici d’eccellenza, non permetteva ai congolesi di recarsi all’estero temendo che potessero venir contaminati dai venti sovversivi che spiravano in Europa.
Tornato in patria, Lumumba venne arrestato per appropriazione indebita di denaro dall’ufficio postale di Stanleyville. Reo confesso, fu condannato a un anno di reclusione e al pagamento di una multa. Solo successivamente e in via informale, si giustificò sostenendo di non aver fatto altro che riprendersi il denaro che gli sarebbe spettato per i lavori straordinari svolti e non retribuiti.
Durante il periodo trascorso in carcere Lumumba abbozzò quello che fu il suo primo e unico libro, Libertà per il Congo.
I comizi per l’azienda di birra
Siamo nella seconda metà degli anni ’50: per il continente africano è un periodo di grandi trasformazioni e ferventi rivendicazioni. In particolare, il 1956 è un anno fondamentale per le lotte di liberazione nazionale in Africa. Sudan, Marocco e Tunisia diventano indipendenti, mentre si estendono le rivendicazioni anche nelle colonie portoghesi.
Lumumba seguì tutti questi eventi con la massima attenzione e, scontata la pena, trovò lavoro come direttore commerciale presso un’azienda produttrice di birra, la Brakongo; una delle sue mansioni consisteva nel pubblicizzare la birra attraverso dei comizi all’interno dei bar e dei locali di Leopoldville (oggi Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo), attività che lo portò ad affinare la sua abilità oratoria e la sua capacità di persuasione, marchi di fabbrica della sua futura carriera politica.
L’ascesa politica di Lumumba
Nel 1958 Lumumba fondò il Mouvement National Congolais (Mnc), partito a vocazione nazionale e multietnica che, nello scenario politico congolese, si differenziava dai già presenti partiti politici a carattere etnico-regionale. Nel frattempo la ribellione Mau-Mau in Kenya, l’avvio della lotta algerina, le indipendenze di Ghana (1957), Guinea e Madagascar (1958) segnarono un incontrovertibile punto di svolta nel continente africano: il processo di decolonizzazione era ormai avviato.
Sul tramontare degli anni Cinquanta, a seguito dei mutamenti legati ai movimenti indipendentisti e nazionalisti che investirono ormai gran parte del continente, Lumumba iniziò ad ampliare le sue attività politiche ottenendo sostegni e consensi nel Paese e all’estero.
Fu proprio grazie all’interessamento degli indipendentisti dell’Africa orientale che, in qualità di rappresentante del Mnc, Lumumba ebbe l’opportunità di partecipare al congresso panafricanista “All african people conference” del 1958 ad Accra (capitale del Ghana).
In tale occasione Lumumba conobbe i più grandi intellettuali e leader politici dei movimenti indipendentisti dell’Africa, tra cui spiccavano il futuro leader della Guinea-Bissau Amilcar Cabral, lo psichiatra e filosofo Frantz Fanon e altri leader africani dei Paesi già indipendenti quali il ghanese Kwame Nkrumah, l’egiziano Gamal Abdel Nasser e il leader della Guinea Conakry Sékou Touré.
Le proteste e il secondo arresto
Lumumba tornò in patria con una accresciuta consapevolezza politica e un progetto nazionalista più maturo, incentrato su unità nazionale, indipendenza economica e solidarietà panafricana. Su queste basi Lumumba cercò di mobilitare la popolazione congolese e decise quindi di abbandonare il precedente lavoro per dedicarsi pienamente all’attività politica.
Anche in Congo la situazione politica e sociale era in crescente fermento. A partire dal 1956 si diffusero nel Paese agitazioni politiche e attività di massa da parte della popolazione, che iniziò a reclamare a gran voce l’indipendenza.
Preoccupato della piega degli eventi, il governo belga guidato nel ’58 da una coalizione di cristiano-democratici e liberali annunciò un programma dal quale emerse che l’indipendenza del Congo rappresentava un fatto ormai imminente e irreversibile. Il 30 ottobre 1959 a Stanleyville, durante violente proteste che comportarono decine di morti e centinaia di feriti, Lumumba venne nuovamente arrestato, questa volta per incitamento alla rivolta.
Verso l’indipendenza
Dal gennaio del ’60 il governo belga decise di avviare le negoziazioni, convocando a Bruxelles una prima tavola rotonda con i leader congolesi in forma unitaria. La conferenza si concluse un mese più tardi con la decisione di concedere l’indipendenza al Congo, prevista per il 30 giugno 1960, nonostante la permanenza di divergenze sull’idea di Stato tra l’Mnc – favorevole all’edificazione di uno Stato unitario – e le altre correnti federaliste/regionaliste.
Durante una successiva conferenza economica di aprile-maggio, il Belgio cercò però di proteggere strenuamente i suoi interessi economici in Congo.
Al momento dell’indipendenza, tra tutte le profonde fratture presenti nella società congolese, la principale era quella ideologica di due gruppi: radicali e moderati.
I primi erano i nazionalisti progressisti che facevano capo a Lumumba, i cui punti fondamentali erano: la costruzione di una nazione unitaria, gli ideali di solidarietà panafricana e il principio di non allineamento emerso alla Conferenza afro-asiatica di Bandung del 1958.
I moderati invece erano nazionalisti più conservatori, alcuni dei quali con posizioni federaliste, disposti ad accettare una qualche forma di tutela occidentale, ottenendo così il sostegno del Belgio, degli altri Paesi occidentali e delle multinazionali europee.
Non senza sorpresa dei belgi, le prime elezioni democratiche del Congo del maggio 1960 videro la vittoria dei nazionalisti radicali guidati da Patrice Lumumba.
Venne formato dunque un governo di coalizione con Lumumba primo ministro e ministro della Difesa e Joseph Kasa Vubu, leader dell’Abako (Alliance des Ba-Kongo), presidente della Repubblica.
Si trattò tuttavia di un matrimonio di convenienza estremamente precario e destinato a vita breve. La volontà del primo ministro Lumumba di rompere nettamente con il passato si rese esplicita già nel “giorno dell’indipendenza”, il 30 giugno 1960, una data che segnò il destino suo e dell’intero Congo.
Il discorso anti-colonialista
Quel giorno, a Léopoldville, in un Palais des Nations gremito di congolesi e di dignitari stranieri, il re Baldovino prese la parola per primo.
Con toni paternalistici, il re sottolineò i benefici che il Belgio di Leopoldo II aveva apportato al Congo, invitando i presenti a riflettere sul decisivo ruolo del Belgio come pioniere dell’emancipazione africana.
Intanto, dall’altra parte della sala, in barba al protocollo cerimoniale Lumumba abbozzò quello che divenne uno dei discorsi più famosi del XX secolo. Rivolgendosi direttamente «alle congolesi e ai congolesi, ai combattenti per l’indipendenza», replicò al re attaccando apertamente il colonialismo belga e i suoi effetti nefasti sul Congo.
Le sue parole, che generarono lo sgomento delle autorità belghe, segnarono una forte rottura sul piano internazionale. Alla cena cerimoniale fu chiesto a Lumumba di scusarsi: pur senza ritrattare le parole appena pronunciate, lo fece.
Ma era troppo tardi, la maestà era stata lesa e dopo quel 30 giugno 1960, nel giro di pochi giorni, il Congo indipendente sarebbe stato proiettato in modo drammatico sulla scena internazionale.
L’escalation della crisi
La ferma intenzione del primo ministro di tagliare con il passato coloniale era stata resa chiara. Tuttavia il Congo indipendente, che contava al tempo solo una trentina di laureati in tutto il Paese, stabilì che per i futuri cinque anni il Belgio avrebbe continuato ad essere presente all’interno di importanti dipartimenti del nuovo Stato, esercito incluso.
Il 5 luglio il generale Emile Janssens, comandante dell’esercito congolese, dichiarava che non c’era alcuna esigenza di africanizzare le truppe. I soldati si sentirono così esclusi dalla nuova libertà acquistata e si decisero per un ammutinamento, che il nuovo governo sostenne. Lumumba infatti destituì il comandante dell’esercito che fu sostituito da Victor Lundula, mentre Joseph Desiré Mobutu, già viceministro, fu nominato capo di stato maggiore con funzioni di controllo.
Gli effetti dell’ammutinamento dell’esercito furono tuttavia drammatici e portarono al collasso la sicurezza pubblica del nuovo Stato. In breve tempo infatti la rivolta si estese lungo il Paese, dove si registrarono anche violenze contro cittadini belgi ed europei.
Il 9 luglio a Elizabethville furono uccisi cinque europei, tra cui il vice-console italiano Tito Spoglia. Tra il panico generale, belgi ed europei abbandonarono in massa il Paese.
L’intervento militare e la secessione del Katanga
Fu a questo punto che il Belgio, ritenendo la situazione ormai fuori controllo e con la motivazione ufficiale di proteggere le vite e le proprietà degli europei, decise unilateralmente di intervenire militarmente.
Così, a soli dieci giorni dall’indipendenza, le truppe belghe ritornarono nel cuore del Congo, raggiungendo la vasta provincia del Katanga. Riunitisi nel capoluogo katanghese, alcuni ufficiali belgi prepararono la secessione della provincia, che avvenne nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1960, aprendo definitivamente la crisi congolese.
La struttura economica della regione sviluppatasi in periodo coloniale era infatti collegata agli interessi minerari e faceva parte di un più ampio progetto di controllo economico che univa questa ricca regione alla rete delle attività economiche coloniali di tutta l’Africa australe.
Tuttavia l’appoggio del Belgio fu fondamentale alla secessione e all’idea di una “solidarietà” belga-katanghese in chiave anti-Lumumba. Gli interessi reciproci erano evidenti: da un lato il partito Conakat (Conféderation des Associations tribale du Katanga) voleva garantirsi il controllo esclusivo delle ricchezze minerarie della regione, dall’altro il Belgio, che possedeva interessi economici rilevanti nella regione, era interessato a mantenere questo controllo.
Gli attori internazionali
La Guerra Fredda e il sistema internazionale condizionarono pesantemente le vicende politiche dei paesi africani che stavano affrontando i processi d’indipendenza. Fu proprio la crisi che accompagnò il processo di decolonizzazione del Congo belga a mettere in luce tanto le fragilità dei governi africani quanto la forza dei principali attori internazionali. Una crisi che esprimeva l’estrema tensione tra rivendicazioni all’emancipazione dei popoli “sudditi” e gli interessi geo-strategici globali nel contesto della Guerra Fredda.
Con l’arrivo delle truppe belghe in suolo congolese, Lumumba decise di chiedere aiuto agli Stati Uniti, i cui principi democratici sembravano poter garantire supporto ai paesi che lottavano per la propria indipendenza. Il dipartimento di Stato Usa non volle però assumersi il rischio di intervenire in supporto del Congo, proponendo piuttosto l’intervento dell’ONU come intermediario.
La missione Onu e le sue fragilità
Prese così il via la missione “Organisation des Nations Unies au Congo” (Onuc), approvata con le astensioni di Francia, Gran Bretagna e Cina. Tuttavia la presenza di due diverse interpretazioni della risoluzione ne minò l’efficacia. La maggioranza dei membri e il Segretario generale ritenevano l’intervento necessario per riportare l’ordine interno, mentre Unione Sovietica, Polonia e Tunisia vedevano l’intervento necessario per contrastare quella che era considerata un’aggressione da parte del Belgio.
Il giorno seguente, 15 luglio 1960, i caschi blu delle Nazioni Unite sbarcarono in Congo con un contingente che includeva anche soldati di alcuni Paesi africani (Tunisia, Etiopia, Ghana, Guinea, Marocco). Gli Stati Uniti si trovarono nella posizione di influenzare la forza internazionale, mentre i Paesi del blocco comunista, eccezion fatta per la Jugoslavia (ancora non facente parte del Movimento dei non allineati), furono esclusi.
La missione Onuc (1960-1964) rivelò da subito la propria fragilità.
La risoluzione indicava che la forza internazionale era posta sotto il comando esclusivo dell’ONU e non aveva quindi il potere di operare in cooperazione con il governo congolese, ma soprattutto non prevedeva l’intervento contro le forze militari belghe, che avevano sostanzialmente invaso il Congo. A fine luglio Lumumba scrisse al presidente del Consiglio di Sicurezza accusando l’ONU di incapacità e chiedendo un’operazione più incisiva.
Lo spettro del comunismo
Fu a questo punto che Lumumba, constatate le difficoltà internazionali nell’intervenire adeguatamente contro i secessionisti, inviò un telegramma con una richiesta d’aiuto al premier sovietico Nikita Crushev, il quale accettò e inviò aerei civili, personale tecnico e mezzi di trasporto. Tale mossa fornì il pretesto per le potenze occidentali, Belgio e Stati Uniti in primis, per additare la figura di Lumumba come leader filo-sovietico.
Lo spettro del comunismo iniziò a riemergere con forza. La sindrome anti-comunista guadagnò via via terreno negli Stati Uniti, in particolar modo presso la CIA.
Come si venne a sapere più tardi, il 18 agosto 1960 il presidente americano Dwight Eisenhower durante un incontrò con il suo Nacional Security Council si domandava se non fosse il caso di sbarazzarsi al più presto di Lumumba. Ciò fu interpretato da Allen Dulles, capo della CIA, come l’approvazione di un intervento contro Lumumba.
Secondo quanto riportato dalle dichiarazioni dello stesso capo della stazione della CIA in Congo Larry Devlin, egli ricevette delle istruzioni da Allen Dulles su come eliminare fisicamente Lumumba: gli fu dato un dentifricio avvelenato con il quale avrebbe dovuto uccidere Lumumba, ma egli si rifiutò sostenendo che sarebbe bastato estrometterlo politicamente. La strategia statunitense virò allora in questo senso: eliminare politicamente Lumumba attraverso il sostegno ai suoi rivali. Questo programma fu concordato con il Belgio.
Come se non bastasse, a destabilizzare ulteriormente lo scenario politico congolese si aggiunse una seconda secessione che interessò questa volta la provincia del Kasai. Questa volta però la risposta dell’esercito congolese fu durissima e a sud della provincia si registrarono violenze e massacri anche ai danni di civili. Tale situazione fornì agli oppositori di Lumumba il pretesto perfetto per sfruttare cinicamente queste uccisioni e delegittimare il governo di Lumumba. L’occasione per eliminarlo politicamente si presentò dunque con la secessione del Kasai. Il presidente della Camera Kasa Vubu, forte del sostegno occidentale, riuscì a cavalcare l’onda.
Congo ultimo atto
Il 5 settembre Kasa Vubu si recò presso la sede della radio nazionale, interruppe le trasmissioni e dichiarò la destituzione del primo ministro Lumumba. Poche ore dopo Lumumba fece la stessa cosa: dichiarò l’atto incostituzionale e annunciò alla radio le dimissioni del presidente Kasa Vubu.
È l’inizio di una crisi costituzionale che aprirà le porte al colpo di stato militare di Mobutu del 14 settembre 1960.
Lumumba venne posto agli arresti domiciliari a Leopoldville e a quel punto divenne sempre più esplicita e strutturata l’alleanza anti-Lumumba che includeva settori delle Nazioni Unite, autorità belghe, diplomatici statunitensi e gruppi di opposizione all’interno del Congo.
Lumumba riuscì a fuggire da Leopoldville il 27 novembre 1960 intraprendendo un viaggio in automobile di circa duemila chilometri per raggiungere Stanleyville, dove nel frattempo i suoi sostenitori avevano formato un nuovo governo. Ben presto tuttavia l’azione congiunta di CIA, intelligence belga e forze di sicurezza di Mobutu riuscì a rintracciarlo e a catturarlo.
Il 1° dicembre 1960 Lumumba fu trasportato in un carcere militare nei pressi di Stanleyville. Il 17 gennaio 1961 venne caricato su un aereo assieme a due suoi ministri, Maurice Mpolo e Joseph Okito, e fu trasferito a Elizabethville, capitale del Katanga secessionista.
A bordo dell’aereo i tre subirono torture che poi continuarono una volta scesi a terra alla presenza di ufficiali belgi e di ministri del governo katanghese, alcuni dei quali parteciparono personalmente alle violenze.
Poco dopo Lumumba e i due ministri vennero caricati in un furgone e portati nella boscaglia: alle 21:43 del 17 gennaio 1961 furono fucilati da un plotone d’esecuzione.
Nei giorni successivi, per non lasciare traccia, i loro corpi verranno fatti a pezzi e sciolti nell’acido.
«Nessun brutale maltrattamento o tortura mi faranno chiedere la grazia. Preferisco morire a testa alta, con la mia fede integra e con la mia profonda convinzione nel destino del mio Paese».
Queste furono le ultime parole scritte alla moglie da Lumumba prima di morire.
La fine di un leader
La caduta e l’assassinio di Lumumba furono il frutto di una cospirazione ampia che incluse sul piano internazionale gli Stati Uniti, il Belgio e anche alcuni settori delle multinazionali, assieme ai nemici interni al Congo, soprattutto Kasa Vubu, Mobutu e Moise Tshombe. Il paradigma prevalente in cui si mossero gli attori era quello della Guerra Fredda e il Congo ne fu completamente travolto.
L’assassinio di Lumumba rappresenta uno degli omicidi politici più significativi del XX secolo per diversi motivi: per il contesto globale entro il quale avviene, che è emblematico delle dinamiche della Guerra Fredda; per l’impatto di lungo periodo che ha avuto sulla storia del Congo (il generale Mobutu rimarrà al potere fino al 1997); ma anche e soprattutto per l’eredità che Lumumba con la sua attività politica e i suoi scritti ha lasciato al Congo e all’Africa tutta come leader nazionalista profondamente convinto della necessità per l’Africa di essere unita.
Cosa guidava quest’uomo? Quali valori si portava appresso? Cosa ispirava un sentimento d’amore così profondo verso il proprio Paese? Perché morì così presto e così giovane? Queste sono solo alcune delle tante domande che ci vengono in mente oggi quando leggiamo la storia di Lumumba. Oggi che in tanti continuano a ricordarlo senza volere o sapere come conoscerlo veramente e avere il coraggio di imitarlo.