Pisapia: «Gestione sanità lombarda non rispondeva necessità dei cittadini»
La sanità lombarda sotto accusa, le elezioni di Milano alle porte, le Olimpiadi invernali meneghine del 2026 da organizzare, con la responsabilità che diventino simbolo di rinascita per l’Italia del post-Covid. È un anno particolare questo 2021 per quello che in molti considerano il motore del Paese.
Anche dieci anni fa Milano ha vissuto una svolta profonda. Sotto la spinta della crisi economica, è stata tra le città italiane che nel 2011 hanno premiato quelli che sono stati definiti i “sindaci arancioni”. I giornalisti parlarono all’epoca di Breccia di Pisapia, in onore del candidato sindaco che aveva portato la sinistra al governo in una città per anni considerata la capitale del berlusconismo.
Giuliano Pisapia è oggi europarlamentare, eletto nella lista del Partito democratico. Con lui abbiamo deciso di raccontare che cosa è accaduto a Milano dieci primavere fa e cosa sta accadendo oggi.
Cosa ha significato per la politica del nostro Paese quella vittoria di quei sindaci che riportavano la sinistra a trionfare? Quale lezione trarre da quella esperienza?
«Dieci anni fa a Milano, e non solo a Milano, si respirava, si coglieva in ogni angolo, la voglia di andare oltre un periodo politico dominato da vent’anni di centrodestra. L’immagine dell’Italia a livello internazionale si era compromessa, dominava la difesa di interessi personali invece che la ricerca del bene comune. Alcune città, anche Milano, erano asfittiche e subivano ancora la crisi finanziaria globale del 2008. Chi guidava allora la città non era più in sintonia con le attese dei cittadini. Si voleva, si aspettava un cambio di passo. Si voleva riportare la buona politica al centro. È stata sicuramente una stagione di speranza che ha visto un grande coinvolgimento dei cittadini».
Milano era considerata ormai una roccaforte del centrodestra. Come ha vinto il centrosinistra una partita così difficile?
«Ha vinto risvegliando la passione civica dei cittadini. Sin dalle primarie per la scelta del candidato sindaco si era capito che “l’aria era cambiata”. Si è fatto un lavoro intenso non solo di ricerca del consenso ma di ascolto. Tanto e capillare. Spesso ricordo quei pomeriggi, quelle serate e anche quelle nottate, ad ascoltare nei quattro angoli della città ragazze e ragazzi, associazioni di volontariato, cittadini impegnati sul territorio. Si è data una speranza senza illusioni. Una speranza legata a una Milano capace di ritrovare la sua “anima”».
Come è cambiata Milano grazie a quella svolta?
«È diventata una città più viva, che ha permesso alle tante energie sociali, culturali di esprimersi. È diventata una città più accogliente e più solidale».
Come giudica il suo successore Giuseppe Sala? Cosa le è piaciuto di più e cosa meno?
«Non mi appartiene dare giudizi. Men che meno sul sindaco Sala. Il sindaco è dovuto passare repentinamente dalla gestione di una città proiettata verso il mondo, sempre più internazionale, alla gestione della pandemia. In ogni occasione ci ha messo la faccia riconoscendo anche gli errori – umani – che può aver compiuto. Amministrare una città come Milano è non solo complesso, ma ti porta a non avere mai un momento per tirare il fiato. La pandemia ha messo tutti davanti a pesanti responsabilità da affrontare».
Come giudica la gestione della pandemia da parte della giunta regionale lombarda? Molti hanno criticato aspramente Fontana e Gallera…
«Sono venuti i nodi al pettine di una gestione della sanità lombarda che non rispondeva alle necessità dei cittadini. Vediamo ora il disastro in corso per le prenotazioni delle vaccinazioni, ma non possiamo dimenticare alcune decisioni prese nel corso del primo lockdown. Comunicazioni e decisioni spesso contraddittorie. È un dato di fatto che l’attuale giunta non sia capace di affrontare al meglio la pandemia. A differenza ad esempio del Lazio guidato da Zingaretti».
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Ritiene che la Lombardia abbia bisogno, dopo tanti anni di governi di destra, di una svolta a sinistra?
«Non solo lo ritengo, ma me lo auguro di cuore»
È stato un anno difficile per l’Italia e in particolare per Milano e per la Lombardia. Cosa augura alla sua terra?
«Di ritrovare la serenità e poter riprendere la tradizionale vita sociale e lavorativa. Ritornare ad abbracciarsi, a incontrarsi, ad andare al cinema, al teatro. Di andare a scuola senza più mascherine. Riconquistare in poche parole la vita che dà speranza».
Cosa ne pensa della segreteria del Pd di Zingaretti e come giudica le sue dimissioni?
«Zingaretti si è trovato a dover tenere insieme un partito con troppe anime e troppe divisioni. Ha gestito un’alleanza con i Cinque Stelle della quale all’inizio non era convinto ma, successivamente, ha mantenuto un comportamento leale con loro. Non ho condiviso alcune delle sue scelte e alcune sue prese di posizione ma comprendo umanamente il suo sconforto nel dover gestire una continua guerra di nervi».
Il Pd dovrebbe guardare con più attenzione ai temi cari agli elettori di sinistra?
«È una direzione necessaria quella che porta a sinistra. Bisogna aprire a mondi diversi e riconquistare la fiducia di tanti disillusi della politica. Ius Soli, parità di genere, investimenti per nuovi lavori e per il turismo, voto ai sedicenni sono temi giusti e condivisibili, identitari e progressisti. Come lo è quello decisivo della lotta alle diseguaglianze che purtroppo con la pandemia sono ulteriormente aumentate. Le prime prese di posizione di Letta vanno nella strada giusta, positiva e propositiva…»