La Chiesa ha spesso condannato e isolato uomini che dopo la morte invece sono stati riconosciuti come precursori. È successo anche durante il secondo Novecento, in cui due visioni del mondo e due diversi approcci ad esso si sono scontrati. In uno prevaleva maggiormente l’apertura nei confronti della modernità e della società, l’altro era più conservatore. Da una parte lo spirito innovatore del Concilio Vaticano II e le spinte progressiste della Chiesa in Sudamerica, dall’altro la fermezza dogmatica di uomini come il Papa emerito Joseph Ratzinger.
Una dialettica politica, culturale e teologica tutt’altro che indolore. Chi avrebbe voluto allargare di più le sue braccia, per aprirsi con maggiore pienezza e meno pregiudizi al messaggio dei Vangeli, è stato visto in alcuni momenti storici con profondo sospetto. A farne le spese uomini umili che avrebbero voluto servire Dio e che hanno sofferto il martirio dell’isolamento.
Chiedimi chi era Don Franco
È successo anche a un prete e ad un intellettuale pugliese chiamato Don Franco Ratti (Foto in evidenza). Un uomo volutamente emarginato durante la sua vita, ma che dopo la morte vede tornare di attualità le sue parole con il magistero di Papa Francesco.
Abbiamo voluto ricordare questa figura, a dieci anni dalla scomparsa, parlandone con Mariangela Mastronardi (foto a sinistra), concittadina di Don Franco. Una storica attivista della sinistra, delle battaglie ambientaliste e sociali nella sua Monopoli (Bari), che ha condiviso una grande amicizia e un profondo legame spirituale con questo sacerdote progressista.
«Don Franco sentiva il bisogno di comunicare alla Chiesa che era giunto il momento di cambiare», racconta Mariangela Mastronardi. Quella di Franco Ratti, però, è una rivincita storica secondo lei: «Oggi molte cose che sembravano scandalose del suo pensiero, divengono materia di dibattito con Papa Francesco».
Una Chiesa fuori dalla chiesa
«Punto centrale del pensiero di Don Franco è quello di portare la Chiesa fuori dalle chiese – spiega Mastronardi -. Quello che oggi anche i giornali cattolici invitano a fare. Portare la Chiesa nelle famiglie, nelle case. Permettere a padri e madri di celebrare. Un’intuizione che oggi è un’esigenza. Le Chiese ormai sono vuote, hanno perso i giovani e gli anziani ora non possono più frequentarle a causa del Covid».
Un pensiero rivoluzionario che attraverso le parole della sua concittadina disegnano una Chiesa totalmente nuova: «Era favorevole al sacerdozio femminile. Voleva il celibato libero, anche se lui non lo avrebbe mai infranto, vivendolo come uno stato di grazia. Riteneva che il battesimo dovesse avvenire in età adulta ed essere una scelta consapevole di adesione al Vangelo. I bambini dovevano essere benedetti, non battezzati. Riteneva importante accettare l’omosessualità, ma lui preferiva parlare di omopersonalità, e aprirsi alle coppie gay».
Centrale nel suo messaggio era l’attenzione per l’ambiente: «Ha anticipato la Laudato Sì di Papa Francesco. L’enciclica con cui Bergoglio ha posto l’accento sui problemi ambientali e sulle loro gravi ripercussioni sull’uomo e sulla società. Nella sua città si è schierato accanto ai comitati ambientalisti, per esempio, durante la battaglia che ha permesso di trasformare in un parco Lama Belvedere: un sito di grande interesse naturale».
Cedere il Vaticano
Viveva in un periodo in cui la Chiesa pensava sé stessa principalmente come una struttura di potere, ma si batteva per renderla più povera, più vicina alla gente: «Era in contrasto con una Chiesa che esaltava il suo potere. Non poteva riconoscersi in un Papa come Giovanni Paolo II, che stringeva le mani a Pinochet. Non si specchiava in questa era mediatica, in cui le immagini erano più importanti della parola. Osservate Papa Francesco, con gli occhi cerca le persone, Karol Wojtyla invece inseguiva le telecamere».
Anche con Joseph Ratzinger c’era una profonda incompatibilità: «Prima di divenire Papa, Benedetto XVI era già l’uomo dei dogmi. Era il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, strenuo oppositore di ogni cambiamento. Era a lui che Don Franco scriveva, senza essere ascoltato. Inoltre fortissime furono le sue critiche contro questo Papa, sia riguardo l’atteggiamento di chiusura nei confronti dell’omosessualità, che sulla gestione, che il sacerdote monopolitano riteneva poco trasparente, dello scandalo dei preti pedofili».
Infine anche lo Stato pontificio era oggetto di accusa: «Voleva la cessione del Vaticano e la fine dello Stato della Chiesa. Si doveva rinunciare ad ogni simbolo di potere e si doveva percorrere la strada della povertà. Sognava che un giorno si affacciasse dal balcone a parlare con la gente un pontefice in maniche di camicia. Con Papa Francesco non siamo arrivati a tanto, ma abbiamo visto la rinuncia a molti sfarzosi paramenti sacri».
Il sorriso di un uomo che parlava ai pescatori
«Un uomo di grande cultura e grande semplicità, sempre pronto all’ascolto, all’apertura, al dialogo. Amava parlare con tutti, in particolare con i pescatori, che a Monopoli non mancavano, ricordando che nei Vangeli erano stati i primi che Gesù chiamò a sé. Erano portatori di un’umanità umile, che viveva contemplando il mare, la bellezza, la vita».
Si sente l’eco di un sorriso nella voce della persona che ci sta guidando a conoscere questo sacerdote dal pensiero rivoluzionario. Sorriso come quello che a Don Franco non è mai mancato, nemmeno nei momenti più difficili. Nato nel 1940, perde la madre a soli 8 anni. «Quel giorno bussa alla porta del suo professore e gli spiega con il sorriso quanto accaduto. Un sorriso accogliente nei confronti degli altri, che non ha mai abbandonato il volto di quest’uomo di fede».
Il 5 luglio 1964 è ordinato sacerdote. Come Papa Francesco, si forma culturalmente con i Gesuiti. Si laurea a Milano in filosofia della Storia all’Università Cattolica, qui conosce e collabora con il professore Emanuele Severino. Con questa importante figura intratterrà un lungo carteggio. Sono gli anni caldi della contestazione. «Don Franco è un figlio di quegli anni, dello spirito del Concilio Vaticano II da un lato e del ’68 dall’altro», afferma Mastronardi.
Misticismo e progressismo
Dopo questa esperienza torna a Monopoli. Qui nel 1983, mentre prega nella Chiesa di San Francesco di Assisi succede qualcosa: «Ebbe come una rivelazione da Dio. Il messaggio progressista che lui ha diffuso negli ultimi anni, sarebbe stato il frutto di questo momento mistico». Don Franco Ratti era effettivamente un mistico: «Ebbe esperienze di questo tipo e anche sofferenze grandi. Dolori alle mani, come se avesse delle invisibili stimmate. Dopo questi momenti aveva spesso gli arti bollenti».
A circondarlo erano molti uomini e donne di sinistra, anche figure legate al Pci. Eppure sinistra e fede, progressismo e misticismo sono stati considerati spesso mondi lontani e contrapposti: «Non c’è da sorprendersi, invece. Come Bergoglio, Romero, Don Tonino Bello, anche Don Franco ha saputo parlare a uomini, donne e giovani di sinistra».
Il rapporto con la Chiesa
«Don Franco non ha mai tradito la Chiesa, l’ha sempre amata. A noi diceva di andare a Messa tutti i giorni se potevamo, malgrado fosse in contrasto con gli uomini che la rappresentavano. La amava così tanto che si è autoridotto allo stato laicale, non ha mai celebrato per noi. Celebrava una messa per sé stesso, ma non vi poteva partecipare nessuno, perché non voleva mettere in difficoltà la Chiesa».
La Chiesa invece, secondo il racconto dell’intervistata, non avrebbe rispettato Don Franco: «Il suo pensiero diverso è stato derubricato alla voce esaurimento nervoso. Tutto malgrado abbia sempre dimostrato grande lucidità e coerenza di pensiero. I Vescovi della diocesi Monopoli-Conversano gli hanno dato una pacca sulle spalle e lo hanno isolato. La loro è stata un’opera di continua e scientifica delegittimazione. Addirittura è stato indicato come il fondatore di una “setta”. Un giorno le forze dell’ordine hanno perquisito anche la villa al mare, dove con mio marito avevamo deciso di ospitare Don Franco per i suoi ritiri spirituali».
Mo.Co.Va
Non è un caso che il sacerdote pugliese venisse additato come il fondatore di una “setta”. Erano stati fraintesi il senso e gli scopi di Mo.Co.Va., realtà da lui voluta: «Il Movimento Concilio Vaticano è nato nel 1986, per riportare la Chiesa proprio allo spirito di quel momento di grande rinnovamento che fu il Concilio voluto da Papa Giovanni XXIII. Vi aderivano una quarantina di persone di ceti sociali e storie culturali diverse. Erano sparse tra Monopoli, Taranto, Avellino e Como. La nostra finalità era diffondere il suo messaggio progressista, farlo conoscere attraverso la stampa. Non voleva creare una setta o un movimento che si separasse dalle istituzioni cattoliche e prima di morire ha sciolto questa sua creatura».
Non è mancato, in ogni caso, chi invece lo ha compreso: «Il cardinale Carlo Maria Martini, considerato un uomo di dialogo e di apertura, lo incontrò e pregarono insieme. Ha suscitato anche l’interesse delle Università e dei professori di teologia progressisti del Nord Europa». In particolare ha avuto importanti scambi con il teologo Hans Küng, morto due giorni fa, e ha partecipato a convegni internazionali di grande valore, come quello tenutosi a Vienna nel 1997: “La Chiesa Cattolica come il Titanic” (vedi foto sotto).
La morte e l’inizio della riabilitazione
“Vedrai su quante cose dopo la mia morte avrò avuto ragione”. Don Franco non aveva fretta, la sua testimonianza era importante, non poteva non farsi portavoce di questo messaggio di Dio, e ne era convinto anche nel momento in cui era stato isolato.
«Il 9 maggio 2011 Don Franco è morto. In uno slancio mistico, quando comprese di essere arrivato alla fine del suo cammino, rinunciò ai medicinali salva vita e si nutrì solo di Eucarestia per 284 giorni. Quando morì era ancora un uomo bellissimo e magrissimo, una figura slanciata, “protesa verso il cielo”. Alla veglia vennero a rendergli omaggio in tanti: professori, ex sindaci e perfino il Vescovo Padovano, che con parole di pentimento, pianse sulla sua bara, malgrado in vita gli fosse stato per anni avverso».
Oggi è in lavorazione un documentario sulla sua figura. Sarà anche inaugurata, probabilmente a maggio, una biblioteca in via Castelfidardo a Monopoli, in cui saranno custoditi i 10mila volumi che aveva raccolto. Tra questi anche tanti libri di psicologia, a cui era molto legato, oltre a opere di filosofia e teologia.
«Continuerà a parlare, a indicarci la strada del cambiamento – conclude Mariangela Mastronardi -. Come ha detto una mia amica, la professoressa di filosofia Lella Leoci, il pensiero di don Franco è in cammino».
Ringraziamo per le foto Mariangela Mastronardi e Angelo Papio