Cinema e Resistenza hanno spesso incrociato le loro strade. Quest’anno succede anche sul calendario. La Notte degli Oscar capita proprio il 25 aprile, data in cui in Italia festeggiamo la Liberazione dal fascismo. Quel giorno del 1945 l’Italia rinasce anche cinematograficamente. Il cinema neorealista ha ridato lustro e aiutato la ricostruzione morale e materiale di un paese che aveva lottato duramente per liberare il suo suolo dall’onta fascista.
Mentre l’Italia è protagonista nella kermesse americana con “La vita davanti a sé” di Riccardo Pozzuoli (leggi Stasera la fiction Lolita Lobosco, ma raccontare un’altra Bari è possibile) e “Pinocchio” di Matteo Garrone, noi ritorniamo a quel Neorealismo, grazie al quale ancora oggi il cinema italiano è considerato il più bello del mondo. Per un 25 aprile in semi-lockdown, vi proponiamo quindi una maratona di 5 indimenticabili film.
1. Roma città aperta, Roberto Rossellini, 1945
“Volevate uccidere la sua anima, avete ucciso soltanto il suo corpo. Maledetti! Maledetti!”
“Roma, città aperta” di Roberto Rossellini è considerato il vero atto fondativo del cinema italiano. È come se il destino della settima arte in Italia sia stato cambiato per sempre dall’avvento di questo capolavoro, che ha fatto da spartiacque morale per la storia del Belpaese, non solo cinematografica. Ha detto Otto Preminger: “La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta”.
Ispirerà i più grandi artisti italiani e non solo (uno per tutti: Pier Paolo Pasolini) e otterrà il Grand Prix a Cannes e una candidatura agli Oscar per la sceneggiatura. Al progetto lavorano nomi solenni della storia del cinema mondiale come Federico Fellini. Protagonisti sono due tra i più grandi attori italiani, vere anime di Roma. Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Sono i volti con cui l’Italia rappresenta sé stessa e fa conoscere al mondo la sua nuova anima. Portano nei cinema del mondo la biografia della Resistenza, un atto politico collettivo di purificazione dal male del fascismo.
Il film inizia a nascere dopo poco dalla liberazione di Roma, a guerra ancora in corso. La violenza dell’occupazione nazista è una ferita ancora aperta nella carne di chi recita e lavora alla pellicola. Per questo forse tutt’ora è in grado di comunicare e far comprendere le ragioni dell’antifascismo con grande forza. Un’intuizione felice porta a rappresentare sullo schermo entrambe le culture politiche su cui verrà costruita la Repubblica: la cultura cattolica (rappresentata magistralmente da Fabrizi) e quella laica-progressista. Sono queste due anime a collaborare per la Liberazione, per poi diventare le contraenti di quel patto costituzionale che forgerà la democrazia italiana. Con la corsa disperata e tragica di Anna Magnani verso la cinepresa, in una delle scene più iconiche del film, tutta l’Italia ha ricominciato a correre.
2. I sette fratelli Cervi, Gianni Puccini, 1968
“Ricordati non bisogna mai dargli tregua. Non fermarsi mai. Fargli sempre sentire il peso della nostra presenza. Con il lavoro, con la parola, con le armi se necessario”.
È una delle storie più commoventi dell’antifascismo, quella raccontata nel film “I sette fratelli Cervi”. La pellicola narra il sacrificio dei figli di Alcide Cervi, contadini emiliani fucilati per aver preso parte alla Resistenza.
Gianni Puccini propone questo film nel 1968. La sua opera è ricca di riferimenti, neanche troppo velati, all’attualità di quegli anni, oltre che essere una delle più riuscite pellicole sull’antifascismo. In particolare, a differenza di “Roma città aperta”, c’è una radicale condanna del mondo cattolico, che, dopo il Concordato, ha definito Benito Mussolini l’uomo della provvidenza.
I richiami all’attualità e i messaggi politici lanciati dal film non sono stati accolti di buon occhio dalle forze di governo in quel periodo. Rappresentano in ogni caso una prova di come la Resistenza abbia continuato ad influenzare e ispirare le battaglie delle generazioni successive.
Infine non si può non citare il protagonista del film. Gian Maria Volonté è il volto del cinema impegnato di quegli anni caldi. Le sue interpretazioni magistrali hanno contribuito a rafforzare la bellezza delle grandi pellicole nostrane degli anni ’60 e ’70.
3. Il generale della Rovere, Roberto Rossellini, 1959
“Lei si agita. Lei grida: ‘Non ho fatto niente!’ Io le credo, ma è proprio questo il suo torto. Di non aver fatto niente. Mi scusi, perché non ha fatto niente? Da cinque anni il mondo è in guerra, milioni di uomini sono morti, centinaia di città sono state rase al suolo e lei non ha fatto niente!”
Un capolavoro frutto della collaborazione sul set dei due grandi registi del neorealismo italiano: Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Quest’ultimo ne “Il generale della Rovere” è l’attore protagonista, forse alla sua migliore interpretazione.
In questo caso la trama non mette in scena un eroe, ma un imbroglione, un uomo biasimabile che approfitta delle miserie della guerra per tirare a campare. La sceneggiatura è scritta da Indro Montanelli, giornalista e controverso protagonista del Novecento italiano. Vittorio De Sica entra in un carcere per interpretare il ruolo di un generale italiano e per fornire ai tedeschi le informazioni apprese sulla Resistenza dai compagni di prigionia. Interpretando il ruolo di un uomo incorruttibile e di grande dignità, finirà per farsi contagiare dalla parte a lui affidata e scegliere di diventare un eroe. Una prova della forza delle idee che sostengono gli italiani che si oppongono ai nazifascisti negli anni della guerra.
4. Tutti a casa, Luigi Comencini, 1960
“Non si può stare sempre a guardare”
“Tutti a casa” è un altro grande film, sostenuto dalla regia di Luigi Comencini e dalle interpretazioni di Alberto Sordi e Eduardo De Filippo. Narra lo spaesamento degli italiani dopo l’8 settembre e la fuga di alcuni soldati il cui iniziale scopo è di tornare a casa.
Presto però nel loro pellegrinare per l’Italia si accorgeranno che no, la guerra non è finita. Inizialmente prevale l’istinto di conservazione. Tutto cambia quando il protagonista giunge a Napoli, durante le eroiche Quattro giornate. Qui, di fronte a una delle più ammirevoli pagine della storia della Liberazione, Sordi cambia prospettiva. Non si può far finta che non stia succedendo nulla, ma si deve partecipare ad una nuova battaglia che non può lasciare indifferenti.
Come il precedente anche questo film ha lo scopo di umanizzare la Resistenza. Gli italiani rappresentati non sono eroi, figure eccezionali, sono uomini comuni, pieni di difetti, che vorrebbero solo tornare sani e salvi a casa. Figure in cui tutti gli spettatori si possono riconoscere. Per questo il messaggio finale, condensato in una frase di Sordi che certifica la maturazione del protagonista, è ancora più importante.
5. C’eravamo tanto amati, Ettore Scola, 1974
“Il futuro è passato e non ce ne siamo nemmeno accorti”
Verrebbe da chiedersi ora, cosa resterà di questa Resistenza? Cosa sono poi diventati gli italiani sopravvissuti sui monti e alle battaglie per liberare il paese? La risposta è nel romanzo cinematografico proposto da Ettore Scola, un vero diario della memoria di una generazione e di una nazione. Una risposta amara, affidata a grandi interpreti: Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Stefano Satta Floris e Stefania Sandrelli.
Tre uomini uniti dalla guerra partigiana, prendono strade diverse e si allontanano negli anni successivi. La vita e il benessere li portano a vivere in contesti molto diversi. Un po’ come il resto del paese anche loro sono destinati ad essere contagiati dall’individualismo, a separarsi dagli altri.
Infine il film “C’eravamo tanto amati” è l’occasione per incontrare di nuovo Aldo Fabrizi. Un modo per chiudere il cerchio iniziato idealmente con “Roma città aperta”.
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