Ecuador, vince Lasso. Perù al ballottaggio
Al terzo tentativo, il ricco banchiere ecuadoriano Guillermo Lasso ha vinto le presidenziali in Ecuador, sconfiggendo il candidato progressista Andrés Arauz. Nessun vincitore, invece, in Perù, che come prevedibile dovrà tornare alle urne il 6 giugno per il ballottaggio: a sorpresa – questo sì – uno dei due contendenti sarà il candidato di Perù Libre Pedro Castillo, insegnante e leader sindacale di impronta socialista.
Nel frattempo prosegue il conteggio dei voti nei quattro dipartimenti boliviani di La Paz, Chuquisaca, Pando e Tarija, anche se stando alle prime indicazioni il partito di governo Mas (Movimiento al socialismo) sarebbe indietro in tutte e quattro le sfide. Non si è votato, invece, in Cile per l’elezione della nuova Assemblea Costituente: il voto, inizialmente previsto per l’11 aprile, è stato rimandato al 15-16 maggio per motivi legati alla pandemia di coronavirus.
Con Lasso l’Ecuador ha scelto il neoliberismo
Recuperando il forte svantaggio accumulato nel primo turno elettorale dello scorso 7 febbraio, l’uomo d’affari Guillermo Lasso (Creo-Psc) ha vinto il ballottaggio e conquistato l’ingresso nel palazzo presidenziale di Carondelet a Quito.
Con oltre il 52% dei voti, Lasso ha sconfitto il leader progressista Andrés Arauz (Unes), fermo al 47%. Decisivi i voti che al primo turno erano andati verso altri candidati, soprattutto Yaku Pérez e Xavier Hervas.
Pur avendo esordito annunciando un «nuovo corso», gli analisti ritengono che il conservatore Lasso non si discosterà dal modello neoliberista perseguito dall’ex presidente Lénin Moreno nell’ultimo quadriennio. Proprio Moreno, eletto come delfino del socialista Rafael Correa (di cui è stato vicepresidente), è balzato agli onori della cronaca per aver clamorosamente “tradito” il mandato elettorale, riposizionando l’Ecuador nel solco delle politiche neoliberiste gradite a Washington e al Fondo monetario internazionale: tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e austerità in primis. Scelte che hanno portato in piazza la rabbia popolare, in particolare degli indigeni, molto influenti nel Paese andino.
Sinistra al secondo turno in Perù. Ma il fujimorismo è ancora forte
In Perù si tornerà a votare il 6 giugno. Nessuno dei 18 candidati ha ottenuto la vittoria al primo turno. La sfida sarà tra Pedro Castillo (Perù libre) e Keiko Fujimori (Fuerza popular). Il vincitore succederà al presidente ad interim Francisco Sagasti il 28 luglio.
Con lo scrutinio che si avvia verso la conclusione, a guidare è l’insegnante e leader sindacale Castillo, intorno al 18%. Uomo di campagna, 51 anni, Castillo rappresenta la sinistra radicale. Campo all’interno del quale ha prevalso su Veronika Mendoza. Dovrà vedersela però con Keiko Fujimori, vicina al 15%. Figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, detto “El Chino” per le sue origini asiatiche e in sella dal 1990 al 2000, la 45enne Keiko, di destra, propone l’indulto per il padre Alberto, in carcere per crimini contro l’umanità e corruzione.
Sull’81enne conservatore pendono le orribili macchie della campagna di sterilizzazione forzata nei confronti di oltre 300mila donne, in gran parte indigene. Oltre alla repressione violenta dei movimenti guerriglieri di sinistra. Proprio al padre Fujimori, elemento di spicco di una dinastia mai tramontata nel Paese sudamericano, si deve la Costituzione neoliberista oggetto di critiche negli ultimi mesi.
Critiche sfociate in violente proteste contro l’intero sistema politico, scosso dai continui scandali di corruzione. In particolare dopo la destituzione di Martín Vizcarra, sostituito prima da Manuel Merino e poi da Francisco Sagasti. Una fase particolarmente turbolenta, aggravata dalle condizioni sociali sempre più precarie di buona parte della popolazione, stremata anche dalle conseguenze del Covid.