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Eduardo Galeano, principe delle strade, cantautore degli ultimi

Eduardo Galeano ci ha lasciato 6 anni fa. Lo ricordo con amore, aggiornando ed ampliando un testo che gli ho dedicato sul mensile di Città di Castello, l’altrapagina, quando ebbe la cattiva idea di lasciarci.

“Ci presentarono. Gli dissi che ero professore all’Università delle Ande a Bogotá. Ho chiarito che ero colombiano. Mi chiese con tono pensieroso: 

– Cosa significa essere colombiano? 

– Non lo so – gli ho risposto -. È un atto di fede”.

Jorge Luis Borges, “Ulrica”, racconto di “El libro de arena” (Emecé, Buenos Aires, 1959)

Latinoamericano per scelta

Se essere colombiano, come essere norvegese o selenita, è solo un atto di fede, Eduardo Galeano (Montevideo, 3 settembre 1940 – 13 aprile 2015) era uruguaiano per nascita e latinoamericano per scelta.

Eduardo Galeano

Condivise fino in fondo le tragedie di tutti i paesi dell’area e in buona misura le subì: dopo il golpe militare nell’Uruguay (27 giugno 1973), fu prima imprigionato, poi costretto all’esilio. Dopo 12 anni, appena ritornato nel suo Paese (1985), fondò una casa editrice dal nome emblematico: “El Chanchito” (il maialino).

I suoi libri più noti sono stati tradotti in oltre venti lingue e hanno venduto milioni di copie. Ciononostante, la stampa italiana ignorò sostanzialmente la notizia della sua scomparsa.

Non credo sia avvenuto soltanto per il solito e inspiegabile complesso di superiorità.

Penso sia avvenuto soprattutto per il “difetto di fabbrica delle pulci”.

Intendo dire che, come tutti sappiamo, il sogno nascosto delle pulci è comprarsi un cane. Applicato a questo caso, che molti scrittori e giornalisti di successo sognano di annientare Galeano.

Per le pulci si tratta di una spinta nobile, per i nostri scrittori e giornalisti di un sentimento dettato dal rancore e dalla invidia.

La voce degli ultimi

Si spiega anzitutto per ragioni politiche: Eduardo era la voce degli ultimi, de los nadie y de los ninguneados (dei nessuno e di coloro trasformati in nessuno).

Gli odiosi invidiosi più o meno di successo sono invece accomunati dal non essere mai consigliati de los nadie y de los ninguneados, dalla vicina di casa, dalla casalinga di Voghera, le stesse che, spesso, hanno letto e consigliano di leggere Galeano.

Per vendere i loro indispensabili volumi sulle confidenze dei Papa, sul triste destino di re Faruq, sulla solitudine di Soraya o sui rebus e sudoku risolti da Filippo d’Edimburgo, a loro bastano le raccomandazioni. Delle TV, per le quali spesso conducono noiose ed interminabili litanie, e dalla sterminata sfilza di sconcertanti premi letterari dove siedono in giuria amici, parenti e raccomandati vari. Ma, presumo, ogni tanto vorrebbero anche essere letti e consigliati a gratis.

“Cantor de caminos te llaman, y tú te dejas llamar. Como que el tiempo templó tu guitarra, en piedra y polvaderal”

Ho sempre pensato a Galeano come un cantastorie di strada: Cantastorie ti chiamano, e tu ti fai chiamare. Come se il tempo avesse temperato la tua chitarra, in pietra e polverone (Tito Fernández, “Cantor de caminos te llaman“, 1972).

Come tutte le strade, la sua non era composta solo da vie e marciapiedi, bensì da storie, colori, sogni, vite, ricordi…. La strada come luogo complesso dove ognuno sceglie il senso del proprio deambulare.

Galeano decise da piccolo di essere poeta degli ultimi, per scelta politica e per empatia, incarnando pienamente l’augurio fatto dal Che nella lettera di saluto ai suoi figli (1965):

Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura ma, soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo del vostro cuore qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo.”

“Caro Sancho, oggi è il giorno più bello della nostra vita. Gli ostacoli più grandi, le nostre indecisioni, il nostro maggior nemico, la paura del potente e di noi stessi. La cosa più facile, sbagliare. La più distruttiva, la bugia e l’egoismo. La peggiore sconfitta, lo scoraggiamento. I difetti più pericolosi, la superbia e il rancore. Le sensazioni più gradevoli, la buona coscienza e lo sforzo per diventare migliori. E, soprattutto, la disposizione a fare il bene a e combattere l’ingiustizia dovunque s’annidi”.

Miguel de Cervantes Saavedra, “Don Chisciotte della Mancia”, 1605

Lo conobbi a Roma, nei primi anni ’80, ad un congresso della Lega per i diritti dei popoli, e mi annotai una sua frase:

“La disuguaglianza è un paradosso terribile in un momento in cui tutti siamo invece costretti a pensare lo stesso, a vestirci allo stesso modo, a mangiare le stesse cose”.

A tavola mi disse:

“Bisogna essere fautori dell’autodeterminazione dei cibi perché il cibo locale è una delle energie culturali più potenti dei popoli”.

Frase che ricordai a Bra, nel 1986, all’atto di nascita di “Arci Gola”, successivamente rinominata “Slow Food”.

Nei primi anni ’90, Eduardo affermava: “Mai i poveri furono così poveri e mai i naufraghi furono così abbandonati”.

Non c’era ancora stata Lampedusa a proposito della quale scriverà:

“Mai avevamo visto questa atroce omogeneizzazione diretta dalla televisione che uniforma abitudini che ci portano a non pensare con la nostra testa, a non sentire, ad essere incapaci di camminare con le nostre gambe.

Non confondo il coltello con l’assassino e so che la televisione è uno strumento. Ma, se consideri come funziona e al servizio di chi è, questo è esattamente il suo ruolo”.

“Perché non ci sono più nemici in vista, ne fabbricano di nuovi.

Il più potente è il fondamentalismo islamico, ma nulla ci dicono sull’assai più potente fondamentalismo dei tecnocrati del FMI e della Banca Mondiale, i quali impongono una ricetta economica obbligatoria ai paesi del sud all’interno dei limiti strettissimi dell’idolatria del mercato, un’idea dell’economia e della vita che colloca le merci al di sopra delle persone, confonde la qualità della vita con la quantità di cose e nega ogni valore a ciò che non ha un prezzo.

Nel loro mondo – diceva il poeta Antonio Machado – qualsiasi imbecille parla di valore confondendolo con il prezzo”. (“Todo necio confunde valoryprecio”, “Proverbi e cantari LXVIII”, in “Campi di Castiglia”, 1912).

Buona parte dell’America Latina viveva ancora sotto colonnelli neoliberisti.

La Grecia si era liberata dai colonnelli e non si era ancora scatenata la crisi.

“A colui che gli dei vogliono distruggere, prima viene data in dono la pazzia.”

Euripide, siglo IV a.C.

Eduardo non era dotato solo di grandi capacità di osservazione ma, anche, di grandi capacità di sognare.

Il diritto a sognare non è incluso tra quelli a disposizione nel nostro kit ma, senza di lui, la povera speranza sarebbe condannata a morire di fame.

Se il sogno non ci permette di anticipare un altro mondo possibile, se l’immaginazione non rende possibile la miracolosa capacità umana di spostare gli occhi oltre l’infamia, cosa potremmo credere? Cosa potremmo aspettarci? Cosa potremmo amare?

Amiamo il mondo, ma a partire dalla certezza che questo triste mondo contiene altri mondi possibili.

A questo lavoro Eduardo si abboccò tutta la vita:

“Sento che siamo gocce di uno tra i tanti fiumi sopravvissuti alla costante ricerca di distruzione del paradiso dove possiamo vivere. Ma siamo anche un vento che non muore quando la vita finisce. Non credo in un’altra immortalità ma sono sicuro che si sopravvive nella memoria e negli atti degli altri”.

“Io ricordo. Ricordo lo sterminio di zingari, omosessuali, comunisti. Ricordo Sabra e Shatila, ricordo il continuo sterminio nel nome di un capitalismo assassino. Ricordo i nostri compagni uccisi e torturati. Io ricordo. Ma voi, che ricordate?” 

Sirio Corbari, comandante del Battaglione o Banda Corbari, brigata partigiana italiana attiva durante la seconda guerra mondiale nel territorio di Forlì e Ravenna (in Massimo Novelli, “Corbari, Iris, Casadei e gli altri. Un racconto della Resistenza”, 2002)

Notaio della vita, registra impietosamente le sue contraddizioni quotidiane:

“Si chiamano Convivere alcune bande paramilitari che assassinano gente in Colombia; Dignità uno dei lager della dittatura militare cilena; Libertà il più grande carcere di quella uruguaiana; Pace e Giustizia il gruppo paramilitare che nel 1997 crivellò 45 contadini, quasi tutti donne e bambini, mentre pregavano in chiesa ad Acteal, nel Chiapas”.

In “La scuola del mondo alla rovescia”, spiega che questo assurdo logico non è affatto un caso:

Il mondo all’incontrario ci insegna a patire la realtà invece di cambiarla, a dimenticare il passato invece di ascoltarlo e ad accettare il futuro invece di immaginarlo.

Le lezioni obbligatorie di questa scuola del crimine sono impotenza, amnesia e rassegnazione.

Ma, perché sappiamo che non c’è disgrazia senza grazia, copertina senza controcopertina né scoraggiato che non sogni di ritrovare un giorno un po’ di coraggio, sappiamo che non c’è scuola che non trovi la sua controscuola.

Fino a venti, trent’anni fa, la povertà era frutto dell’ingiustizia (lo diceva la sinistra, lo ammetteva il centro, rare volte lo negava la destra).

Grazie alla scuola del crimine, ora la povertà è la giusta punizione per l’inefficienza. Provoca pena, non indignazione.

Ma il mondo gira e non si ferma, e la sua direzione di marcia dipenderà dalla spinta che saremo capaci di dare”.

L’utopia

Insomma, va male ma, proprio per questo, non c’è posto per la rassegnazione e il pessimismo va rimandato a tempi migliori. Per cui citando il regista cinematografico argentino, Fernando Birri, insiste:

“L’utopia è come l’arcobaleno. Ogni volta che ti avvicini di un passo, si allontana di due. Ma, allora, a cosa serve? A camminare”.

Mi consola sapere che, con un occhio nel telescopio e l’altro nel microscopio, Eduardo si sia senz’altro divertito.

Sherazade, spiega in “Specchi”, rimanda la sua esecuzione per ben mille e una notti grazie ai suoi racconti:

“Me la immagino così, al chiaro di luna, intrattenendo il sultano, col fiato sospeso. Speso taglia il racconto, continueremo domani dice, mentre sente sul collo il vento prodotto dallo sguardo del re che attende solo di annoiarsi per tagliarglielo. Perciò, il primo comandamento dell’arte del racconto è: vietato annoiare.

Raccontare può essere pericoloso, ma bisogna farlo sempre.

Gli scienziati pensano che il mondo sia fatto da atomi, io credo che sia fatto da storie”.

“Siamo nelle ore degli sciacalli e delle iene. Gli sciacalli vengono per le nostre ricchezze, le iene per ciò che avanza dal festino”

Julio Cortazar, “Policritica nell’ora degli sciacalli”, 1976

Eduardo Galeano

In “Il libro degli abbracci”, Eduardo fa una proposta audace da contrapporre al dizionario della globalizzazione:

“Fondare un marxismo magico, metà ragione, metà passione e una terza metà mistero”.

“Poiché la libertà di commercio è una droga vietata nei paesi ricchi che i paesi ricchi vendono ai paesi poveri”, abbiamo bisogno di questo marxismo magico per poter parlarne diversamente.

Ne identifica il punto di partenza nel racconto “La funzione dell’arte” quando, vedendo per la prima volta il mare, un bambino chiede al padre: “Aiutami a guardare!”

Ecco: in parole povere, il cantastorie Galeano ci aiuta a guardare da altre prospettive.

“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno inconsapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al temine della catena, sta il LAGER”.

Primo Levi, “Se questo è un uomo”, 1947

Oltre ad invitarvi a leggerlo, concludo citando alcune delle caratteristiche che, secondo Galeano, dovrebbero avere gli altri mondi possibili: 

“L’aria non contiene altro veleno che quelli derivati dalle paure umane e dalle umane passioni.

Le auto sono schiacciate dai cani.

La gente non è guidata dall’auto, programmata dal computer, comprata dal supermercato, guardata dal televisore che, perso lo status di personaggio più importante della famiglia, è trattato come il ferro da stiro o la lavatrice.

La gente lavora per vivere invece di vivere per lavorare.

È stato incorporato nei codici penali il reato di stupidità commesso da coloro che vivono per avere o per guadagnare invece di limitarsi a vivere per vivere, per cantare come l’uccello, che non sa di cantare, per giocare come il bimbo, che non sa di giocare.

In nessun paese finiscono in galera i ragazzi che si rifiutano di fare il militare ma coloro che vogliono farlo.

Gli economisti non chiamano livello di vita il livello di consumo né qualità della vita la quantità di cose.

I cuochi non credono che alle aragoste piaccia essere buttate vive nella pentola bollente, gli storici non credono che ai Paesi piaccia moltissimo essere invasi e i politici non pensano che la loro gente ami mangiare promesse.

Si è smesso di credere che la solennità sia una virtù e nessuno prende sul serio chi non riesce a prendersi in giro.

La morte e il denaro hanno perso i loro poteri magici e i mascalzoni non diventano virtuosi per morte o per fortuna.

Nessuno è considerato eroe o tonto perché fa ciò che reputa giusto invece di quello che sarebbe più conveniente.

Il mondo non e più in guerra contro i poveri ma contro la povertà, e l’industria militare è stata costretta a dichiarare fallimento.

Il cibo non è più una merce né la comunicazione un affare, perché cibo e comunicazione sono diritti umani.

Nessuno muore di fame perché nessuno muore di indigestione.

I bambini di strada non sono trattati come se fossero rifiuti perché non ci sono bambini di strada.

I bambini ricchi non sono trattati come se fossero denaro perché non ci sono bambini ricchi. L’educazione non è privilegio di quelli che possono pagarla, la polizia non è la maledizione di quelli che non possono comprarla.

Giustizia e libertà, sorelle siamesi condannate a vivere separate, tornano a riunirsi, schiena contro schiena.

Una donna, nera, è presidenta del Brasile e un’altra donna, nera, è presidenta degli Stati Uniti d’America. Una donna indigena governa il Guatemala e un’altra il Perù. In Argentina, le pazze di Plaza de Mayo sono un esempio di salute mentale perché si rifiutarono di dimenticare ai tempi dell’amnesia obbligatoria.

La Santa Madre Chiesa ha corretto gli errori delle tavole di Mosè ed ora il sesto comandamento ordina festeggiare il Corpo. Inoltre, ha aggiunto un comandamento che Dio aveva dimenticato: ‘Amerai la natura dalla quale sei parte’.

Sono stati rimboschiti i deserti del mondo ed i deserti dell’anima; i disperati sono attesi ed i persi ritrovati, perché disperarono di tanto aspettare e si persero di tanto cercare.

Siamo connazionali e contemporanei di quanti hanno volontà di giustizia e volontà di bellezza, dovunque siano nati e qualunque sia il tempo in cui abbiano vissuto, senza concedere alcuna importanza ai confini indicati dalle mappe o dal tempo.

La perfezione continua ad essere il noioso privilegio degli dei, ma in questo mondo sbagliato e fottuto, ogni notte è vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo”.

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