Era un ospedale, sarà un resort. Sembra una favola senza lieto fine, ma per raccontare l’ennesimo progetto di riqualificazione di un bene comune non si può che partire dal “c’era una volta”. Siamo al Lido di Venezia, un tempo “isola d’oro” sospesa tra la laguna e il mare, oggi lembo di terra diviso tra le luci della Mostra del Cinema e il quieto vivere dei suoi 16mila abitanti.
Oggetto del contendere è l’area dell’ex ospedale al Mare. Già Ospizio marino da metà ‘800, diventa un ospedale vero e proprio nel 1933, con padiglioni liberty di valore storico-architettonico. Un servizio pubblico in piena regola, integrato nel 1975 dal monoblocco, tuttora polo sanitario funzionante. Quello che però era un complesso di prim’ordine, con tanto di chiesa, teatro, spiaggia libera e piscine con acqua di mare per la talassoterapia, dopo i primi tagli viene definitivamente smantellato nel 2003.
Da allora inizia un declino inesorabile, caratterizzato da incuria e degrado, fatti salvi i servizi rimasti attivi nel monoblocco. Nel 2013 l’area viene acquistata da Cassa Depositi e Prestiti, che dopo le iniziali promesse di recupero a fini sanitari partorisce un’idea dirompente (siamo nel 2018): via il monoblocco – non un gioiello ma presidio sanitario ammodernabile – e cinque padiglioni (vincolati dalla Soprintendenza a partire dal 2008), al loro posto due maxi resort di lusso, gestiti dalle società Club Med e Th Resorts.
Un progetto da 525 camere totali che divide la comunità lidense (e veneziana): da una parte i contrari all’«ennesima operazione speculativa privata» a danno dei servizi collettivi primari e dell’ambiente, dall’altra i favorevoli alla riqualificazione di un’area abbandonata con un investimento in grado di «dare impulso all’economia, senza perdere i servizi sanitari».
«Gli alberghi non sono la cura». La mobilitazione di protesta
Sulle barricate ci sono forze politiche, associazioni e movimenti secondo i quali «smantellare un presidio sanitario per costruire due resort» va in direzione opposta rispetto alle esigenze di una città fragile e sempre più spopolata come Venezia (leggi anche Buon compleanno, Venezia). Che in questo periodo di pandemia soffre maggiormente una crisi che ha messo a nudo l’equilibrio precario su cui si regge l’economia lagunare, incentrata (quasi) esclusivamente sul turismo.
Dal Partito Comunista a Tutta la Città Insieme, dal M5s (in particolare con la senatrice Orietta Vanin) a Italia Nostra, dai comitati (ex Gasometri, ex Umberto I, Revisione viabilità Lido, No Grandi Navi) all’Ecoistituto del Veneto. Ma ancora: dal Movimento dei consumatori ed M48 ad associazioni come Venezia Ambiente, Amico albero, Lido d’amare, In Diversity Odv, Lavoro Ambiente Solidarietà, Panchina calda. Fino al Collettivo universitario Lisc, Ca’ Bembo liberata, Quartieri in movimento e Laboratorio Morion. Queste le sigle che appoggiano la manifestazione di protesta che domenica 16 maggio alle 11 riaccenderà i riflettori sulla questione ex ospedale.
«Al Lido di Venezia esistono 81 hotel, di cui molti chiusi o in grave difficoltà in questo periodo. Allo stesso tempo, la sanità veneziana soffre sempre più la carenza di servizi ospedalieri», dicono gli organizzatori dell’evento. «Serve una riqualificazione dell’area, ma che sia utile alla cittadinanza e non ai costruttori dell’ennesimo hotel».
Un corso di laurea contestato
Il progetto contempla anche la Sio (Scuola italiana di ospitalità) e il corso di laurea professionalizzante in Hospitality Innovation and e-Tourism ideato dall’Università Ca’ Foscari. Nonostante le perplessità dell’ateneo veneziano e la fumata nera della prima votazione, a gennaio la delibera è stata approvata dal Senato Accademico. Tra i contrari c’era Filippomaria Pontani, filologo classico e docente universitario a Ca’ Foscari, secondo cui l’università viene «usata come foglia di fico per quest’operazione immobiliare di cui non è chiara la convenienza, soprattutto sul piano della struttura didattica di questo corso».
«Il progetto riguardante l’area dell’ex oaM è un tassello della tourism gentrification della città di cui abbiamo visto moltissimi esempi», spiega il professore. Che si oppone alla versione secondo cui un hotel di lusso nobiliti l’operazione: «al Lido ci sono già alberghi a 5 stelle e alcuni pure in difficoltà, non si capisce perché questo dovrebbe andare meglio». «Che non si voglia il turismo straccione – continua – ma solo quello danaroso, poi, è un’idea classista e orribile dal punto di vista sociale. Ma soprattutto è la dimostrazione che non esistono idee di modelli di sviluppo alternativi per questa città. Sono convinto che sia l’ennesima scommessa perdente».
Beni comuni e salvatori della patria
«Che un ospedale venga trasformato in albergo è un fatto simbolico: i beni comuni che vengono abbandonati e finiscono nel degrado fanno sì che poi arrivino i “salvatori della patria” a speculare», commenta Giovanni Andrea Martini, consigliere comunale di Tutta la Città Insieme. «La nostra – spiega – è un’opposizione a questo sistema, che a Venezia potremmo definire “fucsia spa” – il colore della forza politica del sindaco Luigi Brugnaro, ndr -. Dove “spa” non sta per “società per azioni” ma per “supermercati, parcheggi e alberghi”». Soluzioni alternative? «Ce ne sarebbero tante, a partire dall’idea di un centro studi sulle pandemie usando i soldi del Recovery Fund. In ogni caso noi vogliamo che il polo sanitario rimanga e per questo ci opponiamo all’abbattimento del monoblocco e al ridimensionamento del servizio».
Sulla stessa lunghezza d’onda Susanna Polloni, segretaria del Partito Comunista di Venezia, secondo cui la situazione di degrado nell’area dell’ex oaM è imputabile esclusivamente «alla cattiva amministrazione da parte dei proprietari». «Fino a pochi anni fa – spiega – si voleva ampliare i servizi sanitari, ora si vuole trasferire il polo sanitario in mezzo a due resort, riducendolo. Allo stesso modo le piscine verrebbero dimezzate, raddoppiando così i tempi d’attesa per la talassoterapia». «Il Partito Comunista – continua – si schiera a favore della sanità pubblica e della sanità territoriale, che sta gradualmente venendo dismessa. Non bastano i centri di eccellenza, servono anche punti sul territorio. La realtà è che le grandi opere mobilitano giri di denaro molto superiori alle piccole…» (leggi anche Venezia, il Mose è marcio).
Variante e ricorso al Tar: la vera spada di Damocle
Al momento il progetto, pur in fase avanzata, deve fare i conti con la variante al piano regolatore, che deve ancora approdare in Consiglio comunale. Ma soprattutto con un ricorso di Italia Nostra al Tar, che ha sospeso per «esigenze cautelari» la demolizione di cinque padiglioni vincolati. Il pronunciamento del giudice amministrativo regionale arriverà nel primo trimestre del 2022.
«L’abbattimento di cinque padiglioni – spiega Emanuela Vassallo, presidente della sezione veneziana di Italia Nostra – snaturerebbe completamente il valore di questo complesso: stiamo parlando di uno spazio urbano di grande interesse, sia dal punto di vista architettonico-ambientale, sia da quello della storia sanitaria di questo luogo». «Non siamo entrati nel merito del progetto – continua – ma le intenzioni sono chiare: ridisegnare tutto il fronte a mare creando delle altezze notevoli e dei ‘cannocchiali’ che andrebbero a occludere gli unici punti di apertura verso il mare. Senza contare l’aspetto legato all’arenile: un recente studio del prof. Leonardo Filesi – presidente della Società botanica italiana, ndr – insieme a Federico Antinori evidenzia l’importanza di questo sito, che potrebbe aspirare a una tutela integrale diventando un sito di protezione speciale. Le intenzioni dei futuri proprietari inoltre sono di compartimentare questo spazio, che è un bene collettivo e di interesse culturale».
Nel merito, il ricorso al Tar si scaglia contro la revoca del vincolo di tutela, che potrebbe avvenire solo in casi ben precisi: distruzione del bene, venir meno delle ragioni del vincolo oppure scoperta di un bene al di sotto, di importanza tale da richiedere la demolizione di quello che c’è sopra. «Ma nulla di questo è avvenuto – commenta Vassallo -. Inoltre, nell’atto di alienazione del bene, nel 2013, si è sottoscritto un accordo che prevedeva di portare a termine entro quattro anni la valorizzazione del bene stesso. Non è nemmeno cominciata. I termini sono scaduti e questa è chiaramente una violazione della legge. Inoltre, demolire edifici vincolati in quanto fatiscenti non è una motivazione valida, visto che il proprietario di un bene vincolato deve assumersi l’onere di manutenerlo. E ciò non è stato fatto se non per piccole porzioni».
«Serve un rilancio. E la Regione è una garanzia». Chi sposa il progetto
A sposare il progetto sono l’amministrazione comunale, la Municipalità Lido-Pellestrina e le categorie economiche. Ma non solo. «Il fatto che anche la Regione Veneto sia a pieno titolo all’interno della partita è una garanzia», commenta Nicola Gervasutti, consigliere comunale della Lega, convinto che «non si perderanno i servizi sanitari».
«Serve una riqualificazione dell’ex oaM, che io ho sempre definito una “Beirut degli anni ‘80” – continua Gervasutti -: una parte avulsa al territorio del Lido che deve tornare a far parte di un meccanismo economico ma anche sociale, perché non si può tenere un’enclave distrutta all’interno di un territorio che ha bisogno di un rilancio economico».
Sulle critiche all’ennesima struttura ricettiva? «Il turismo al Lido non c’è in realtà, siamo fermi alle presenze degli anni ’50-’60. Abbiamo il mare più bello del Veneto ma non il turismo: non serve puntare a un’altra Jesolo ma almeno rimediare ai ritardi pluridecennali. Anche perché per riqualificare quell’area siamo all’ultima spiaggia».
«Se anche altri albergatori sono a favore, è perché il progetto alzerebbe la qualità delle strutture ricettive e ciò può portare beneficio a tutta la catena turistica: dagli alberghi ai ristoranti eccetera». «In ogni caso – conclude il consigliere leghista – non mi soffermerei su dove vengono erogati i servizi sanitari, l’importante è che ci siano e che si alzi anche la qualità. Il monoblocco verrà abbattuto quando i servizi sanitari saranno operativi nella zona dove verranno spostati. La sanità è tra i primi pensieri della Regione Veneto, anche in termini di bilancio, quindi io per primo mi sento rassicurato».
Si vedrà. La partita è ancora da giocare, si spera senza sacrificare la tutela dell’interesse pubblico. Soprattutto quando in gioco c’è la salute dei cittadini.
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