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Del caso Schwazer, del doping e di altri veleni. Parte 2

Pubblichiamo la seconda parte di un approfondimento sul caso Schwazer e sul doping nello sport a firma del giornalista Diego Costa (leggi qui la prima parte). Proprio pochi giorni fa, il Tas di Losanna ha respinto il nuovo ricorso del marciatore altoatesino contro la sua squalifica.

Giustizia sportiva e ordinaria: la rottura di Nebiolo

Il secondo argomento che il caso Schwazer solleva è la differenza tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria. Molti invocano clemenza da parte della giustizia sportiva, riconoscendo ciò che ha stabilito la giustizia ordinaria.

Nell’atletica leggera, in particolare, la questione riporta ad antica memoria, quella che di fatto ha sancito la rottura tra i “padri fondatori” del track and field, gli inglesi, e il presidente della Federazione Internazionale che più di ogni altro ha reso la Regina degli sport popolare e diffusa: l’italiano Primo Nebiolo.

Una rottura inevitabile nel momento in cui Nebiolo ebbe l’ardire di trasferire la sede della Federazione Internazionale (Iaaf) dalla Casa Madre Londra al Principato di Monaco. Un ceffone alle istituzioni e alle tradizioni così care al popolo inglese. Per darvi un’idea: immaginate un dirigente federale che porti il torneo di Wimbledon in una colonia… O che avesse deciso che il XV della Rosa giocasse il Sei Nazioni in Australia anziché nel tempio di Twickenham.

Il precedente di Pettigrew

Ma cosa c’entra questo con il tema centrale, cioè la giustizia sportiva e la giustizia ordinaria? C’entra eccome. Quando infatti negli anni ’90 la Iaaf raggiunse il suo momento di maggiore auge e visibilità, capitò che alcuni assi dell’atletica americana, freschi di primati destinati a resistere, furono colti in flagranza; e dunque sospesi. Ci viene alla memoria il caso di Antonio Pettigrew, straordinario 400ista, che ammise l’uso di sostanze dopanti e di conseguenza venne squalificato.

Alla vigilia di un appuntamento importante, Pettigrew vide bene di ricorrere alla giustizia ordinaria, per vedere riconosciuti quelli che – secondo lui – erano i suoi diritti. Il tribunale dell’Ohio, nella figura di un giudice evidentemente tifoso – vide bene di ingiungere a Nebiolo e alla Iaaf di riqualificare l’asso americano fin dalla prima occasione.

Ne nacque una controversia simbolo. Fu allora che, per difendersi da un possibile e pericoloso precedente, il piemontese spostò la sede della Federazione Internazionale nel Principato – era il 1993 – che sta tra Italia e Francia. Ottenendone in questo modo le regole sancite dal diritto internazionale che fa del piccolo Stato una sorta di porto franco, non solo fiscale ma anche per le sentenze giudiziarie.

Ma allo stesso tempo sapendo bene che l’atto sarebbe stato interpretato dal mondo anglosassone, dalla Svezia culla della Iaaf fino al Regno Unito, come un atto di rottura. E che da quel momento ogni “starnuto” del Presidente sarebbe stato oggetto di analisi feroce e di critica dal mondo dei Padri dell’atletica moderna.

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