Con l’espressione “da Trento a Messina” si indica un qualcosa che accomuna l’Italia intera, da Nord a Sud. E quel ‘qualcosa’, spesso e volentieri, è il calcio. Lo sport nazionalpopolare per eccellenza, che unisce tutto il Belpaese. Non è quindi un caso che il campionato di Serie D, l’unico torneo dilettantistico italiano su scala nazionale, abbia visto esultare per prime queste due città. Trento (nella foto principale, tratta dal profilo Fb della società, la festa promozione) e Messina, dunque, sono già neopromosse in Serie C, tra i professionisti, con tre giornate d’anticipo. Ma se nel capoluogo trentino il trionfo gialloblù è stato ‘canonico’, sullo Stretto lo scenario ha assunto connotati ben diversi, con due squadre dilettantistiche della stessa città tuttora a contendersi lo scettro di campione, irraggiungibili per tutte le rivali del girone. Una di quelle storie ‘particolari’, che solo il calcio nel bene e nel male sa regalare.
Trento, neopromossa e dominatrice
Ma partiamo dalla linearità. Ovvero dalla vittoria del campionato, nel girone C di D (trentino/altoatesino-veneto-friulano), del Trento. Un trionfo prevedibile, da molti pronosticato già nell’agosto 2020, quando cominciava ad essere ben chiara la forza della squadra allenata da Carmine Parlato. Già, Parlato. Un nome una garanzia nella massima categoria dei dilettanti, della quale il tecnico napoletano di nascita ma veneto d’adozione è un vero specialista, con cinque promozioni in C raccolte in 16 anni di carriera, da Rovigo a Trento, passando per Pordenone, Padova e Rieti. Giocoforza, nel momento in cui la società trentina del munifico patron Mauro Giacca ha svelato il suo ingaggio nell’estate 2020, alle avversarie è cominciato a venire il mal di testa. E se a ciò si aggiunge un diesse veterano del girone come Attilio Gementi e investimenti notevoli, i 75 punti conquistati in 35 giornate (+13 sull’Arzignano) di un campionato dominato in lungo e in largo sono presto spiegati.
Nonostante, si badi bene, il Trento sia a sua volta una neopromossa, confinata in Eccellenza nella stagione 2019-20 (quella interrotta causa lockdown). Ma tutte queste combinazioni, unite ad una squadra con giocatori fiore all’occhiello della categoria (basti pensare a bomber Aliù, al metronomo brasiliano Nunes, allo scudiero di Parlato Dionisi, l’ex Milan Osuji, Belcastro e molti altri) hanno reso la matricola gialloblù irraggiungibile per tutti. Ci ha provato un’altra neopromossa, la friulana Manzanese (dove campeggia l’ex difensore di Udinese e Spal Felipe), a tenerle testa per tutto il girone d’andata, poi sulla resistenza Parlato ha fatto valere i muscoli e il Trento si è imposto quasi in scioltezza, riguadagnandosi la C a 18 anni dall’ultima apparizione e dopo un lungo peregrinare nelle serie dilettantistiche. Categorie che, se Giacca continuerà di questo passo, in riva all’Adige potrebbero non vedersi più per un pezzo.
Acr e Fc: a Messina un ‘derby’ fratricida (ma vincente)
Scendendo di quasi 1300 chilometri, sullo Stretto di Messina, ci immergiamo in uno scenario diverso e controverso. Nella città che fino al 2007 ospitava un club di Serie A, capace di dare filo da torcere a Juve, Inter e Milan, ora lottano non una ma due squadre: l’Acr Messina e l’Fc Messina. Un ‘derby’ fratricida quindi, che nelle prime 31 giornate (a 3 dalla fine) del girone I siculo-calabrese ha visto prevalere l’Acr di Raffaele Novelli, con 67 punti, ma l’Fc di Massimo Costantini (col celebre Francesco Ciccio Lodi in campo) incalza a 4 lunghezze e tutto ancora può accadere. Eccetto che qualcuno da dietro insidi il primo posto: il Gelbison terzo, con i suoi 56 punti, non potrà raggiungere la capofila messinese, con la città dello Stretto che quindi festeggerà a prescindere il ritorno nei professionisti dopo 4 anni.
Una città divisa, per la verità, visto che Acr e Fc si contendono il fregio di erede di quel Messina del presidente Pietro Franza che tra il 2004 e il 2007 disputò tre stagioni in A con i vari Storari, Zampagna, Zoro, Floccari, Di Napoli, prima del fallimento del 2008. Per la verità i tifosi dell’Acr (ovvero la Curva Sud del San Filippo-Franco Scoglio) non hanno dubbi, rivendicando il loro come l’unico vero club dello Stretto e rifiutando categoricamente la parola ‘derby’, che per loro è quello giocato con Reggina, Palermo e Catania. E in effetti fu proprio la società Associazioni Calcio Riunite (storica denominazione dei giallorossi dal 1947 al 1993) nel 2009 a rilevare il titolo sportivo dal fallito Fc Messina di Franza (erede dell’U.s. Peloro, attivo negli anni Novanta e diventato poi prima squadra col nuovo nome), il cui marchio fu però ceduto nel 2019 all’imprenditore Rocco Arena, che lo utilizzò per ribattezzare il suo ‘vecchio’ Camaro Messina/Città di Messina, club che disputava i campionati minori e poi salito in D.
Uno scenario da perderci la testa, ma non inedito a Messina (il ‘derby’ tra il provvisorio A.s. Messina e U.s. Peloro si disputò anche nel CND 1996-97) e neppure inusuale nel calcio a cavallo tra professionisti e dilettanti, dove i fallimenti si sprecano portando con sé cambi di nome e di marchi. Così Acr ed Fc si sono ritrovate in D, a sfidarsi a più riprese nel medesimo girone, quest’anno per contendersi il salto in C. Finora sta prevalendo l’Acr del presidente Pietro Sciotto, guidato in campo dai vari Bollino, Foggia e Aliperta. E il 13 giugno, data della terz’ultima giornata (Licata-Acr e Fc-Castrovillari), i giochi potrebbero chiudersi. Ma la domanda, in riva allo Stretto e in tutto il resto d’Italia, è una sola, forse semplicistica vista la complessa realtà locale e forse no: se le due società riunissero le forze, il Messina in qualche anno potrebbe tornare in Serie A?