Perù verso il ballottaggio, anche Milano grida «No a Keiko»
A pochi giorni dal ballottaggio, si accende la sfida per la presidenza del Perù. Da una parte Pedro Castillo, insegnante andino e marxista, dall’altra Keiko Fujimori, conservatrice e figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, icona del neoliberismo (leggi anche Elezioni in Perù, duello tra Pedro Castillo e Keiko Fujimori).
Domenica 6 giugno il Perù sceglierà il prossimo presidente, dopo il primo turno dello scorso 11 aprile (leggi anche Ecuador, vince Lasso. Perù al ballottaggio). Pedro Castillo, leader di Perú Libre, ha ottenuto poco più del 19%, mentre Keiko Fujimori, leader di Fuerza Popular, ha ottenuto poco più del 13%. I sondaggi danno qualche punto in più a favore dell’insegnante di impronta socialista, vera novità della partita. Con lui la stragrande maggioranza delle zone andine. Con Fujimori, invece, la capitale Lima e il Nord del Paese.
Un Paese ferito
Ma l’esito è tutt’altro che scontato, in un Paese che soffre pesantemente le conseguenze sanitarie ed economico-sociali del Covid-19. Ma non solo. Il Perù si avvicina alle urne leccandosi le ferite di decenni di instabilità politica, tra corruzione alle stelle e malcontento popolare. Alcuni numeri possono spiegare meglio la portata della faccenda. Negli ultimi cinque anni, il Perù ha avuto quattro presidenti e due parlamenti. Il 30% della popolazione vive in povertà, con 1,8 milioni di nuovi poveri registrati nel 2020 a causa del coronavirus.
Di fronte, due candidati che polarizzano il dibattito. Una novità assoluta (Castillo) contro l’emblema del sistema peruviano degli ultimi 30 anni (Fujimori). Sì, perché la 46enne figlia del “Chino” Alberto Fujimori – così chiamato per via delle sue origini asiatiche – rappresenta la continuità del potere fujimorista, segnato da crimini contro l’umanità, corruzione e disparità economiche sempre crescenti.
Il presidio a Milano
Anche in Italia, in particolare a Milano, lo scorso sabato 29 maggio, sono scesi in piazza peruviani che si schierano. Perché «non si può rimanere neutrali», come spiega Veronica Silva, del collettivo ‘No a Keiko – Milano’. Il gruppo, attivo da sei anni, è stato protagonista di un presidio in piazzale Cadorna per sensibilizzare la popolazione sulla portata del voto peruviano. E sulla necessità di prendere posizione, «battendosi per una vera democrazia».
«Il collettivo ‘No a Keiko’ è nato inizialmente in Perù 12 anni fa ma poi si è esteso in varie parti del mondo – spiega Veronica Silva, cooperante e imprenditrice di origine peruviana -. Da 30 anni, in realtà, molti peruviani si oppongono al fujimorismo».
Una storia buia
Vero che i dibattiti di questi giorni nel Paese sudamericano vertono soprattutto su lotta alla pandemia e misure economiche, ma non si può non volgere lo sguardo al passato – anche molto recente – per conoscere le due alternative in ballo. Alberto Fujimori, padre di Keiko, è stato presidente del Perù dal 1990 al 2000. Artefice dell’”autogolpe” con i carri armati nel 1992, a lui si deve la Costituzione neoliberista di un anno dopo, aspramente criticata dalla sinistra radicale di Castillo (che propone una nuova Assemblea Costituente).
Oggi, l’82enne ex dittatore è in prigione per crimini contro l’umanità e corruzione, condannato nel 2009 a 25 anni di reclusione. Su di lui, infatti, pendono le orribili macchie della campagna di sterilizzazione forzata nei confronti di oltre 300mila donne, in gran parte indigene. Oltre alla repressione violenta dei movimenti guerriglieri di sinistra. Senza contare lo scacco matto nei confronti dello Stato da parte del potere economico privato, tuttora vero dominus in Perù, come in diversi paesi dell’America Latina.
Il sistema fujimorista
Ma cosa c’entra con ciò la figlia Keiko Fujimori? «Lei rivendica tutto questo», commenta Veronica Silva di ‘No a Keiko – Milano’. Ma non solo. Già arrestata due volte per finanziamento illecito, Keiko Fujimori rischia una condanna a 30 anni di carcere con le accuse di associazione a delinquere, riciclaggio e altre imputazioni. Accuse dalle quali Keiko per ora è riuscita a svicolare. Già nel maggio 2020 era stata rilasciata per motivi di salute dopo l’arresto, mentre scontava una condanna preventiva a 15 mesi per finanziamenti illeciti.
«Negli anni ’80-’90 abbiamo avuto un conflitto armato interno con circa 150mila desaparecidos, per lei si è trattato di lotta al terrorismo», spiega Veronica Silva. «Ci sono ancora madri che cercano il corpo dei loro figli». «Sulle sterilizzazioni contro la volontà – una vera e propria pulizia etnica nei confronti degli indigeni – il suo giudizio è che si sia trattato di una “pianificazione familiare”».
Abusi, sparizioni e torture. Ma anche corruzione e droga
Una storia troppo poco conosciuta, quella degli indigeni del Perù. «Non solo abusi da parte dell’esercito e sterilizzazioni che hanno portato anche molte donne alla morte. Nelle zone andine, chi sapeva leggere un libro veniva ucciso con un colpo in testa davanti ai familiari. Questa era la politica fujimorista, per combattere i gruppi guerriglieri – come Sendero Luminoso e Movimento revolucionario Túpac Amaru – ed eliminare le nostre origini, visto che la prima cosa che ha rubato il colonialismo è stato il nostro specchio, come dice l’antropologa argentina Rita Segato».
Il Perù, piagato dalla corruzione a tutti i livelli, negli ultimi anni ha visto spaventosamente crescere la presenza del narcotraffico. Oggi un business mondiale. «Fuerza Popular (il partito di Keiko Fujimori, ndr) ha vincoli stretti col narcotraffico», continua Veronica Silva. Pochi anni fa, un fotoreporter che indagava sui rapporti tra il narcotraffico e la famiglia Fujimori è stato freddato brutalmente davanti a casa sua. Si chiamava Luis Choy. Era il 23 febbraio 2013.
Il cambiamento possibile
Pedro Castillo, se vincesse, potrebbe cambiare le cose? «Sicuramente gode di un grande favore popolare e rispetto all’oscurità del fujimorismo non ci sono dubbi che sia preferibile. Anche se, da femminista, non mi convince per le sue posizioni sull’aborto e sulle questioni lgbt». A pochi giorni dal voto, quello che è certo è che i media non gli hanno riservato un trattamento di favore. Anzi. «Gli danno del terrorista perché di sinistra. Viene insultato perché andino». Un clima che non aiuta, visto anche che non si possono escludere brogli. Il Perù aspetta con trepidazione.
Leggi anche Le nuove vene aperte dell’America Latina