Estate italiana e cinema. Un rapporto di simbiosi nutrito da tanti film e da uno dei riti più amati della bella stagione: il cinema all’aperto. D’altronde forse la sala cinematografica più bella d’Italia è quella piazza Maggiore a Bologna che ogni estate sogna “Sotto le stelle del cinema” (foto dell’evento in evidenza di Giuseppe Gabrieli). Così in questa estate senza discoteche, con tante soddisfazioni nello sport, ma anche la paura che le varianti possano frenare la ripresa autunnale, vi proponiamo una maratona di cinque film attraverso cui raccontare i costumi, non solo da bagno, del Belpaese e la storia pop dell’Italia.
Il Sorpasso, Dino Risi, 1962
Lo avevamo già citato in “L’album fotografico della Repubblica italiana”. “Il Sorpasso” è uno dei grandi capolavori della commedia italiana e forse il più bel film che racconta il Ferragosto italiano. Momento dell’anno perfetto per narrare un certo tipo di Italia, un certo tipo di società e di periodo storico.
Siamo nel boom e la metafora del sorpasso racconta un’Italia che vola come direbbe Domenico Modugno. Che si lascia alle spalle il piccolo mondo antico contadino, i suoi sacrifici, i suoi dolori, ma anche i suoi valori. Si fa personificazione di questa trasformazione Vittorio Gassman che racconta la nuova società maleducata ed edonista, esibendo il gesto delle corna. Questa Italia consumista ha dimenticato le sofferenze della guerra e la greve retorica fascista. Incontra e contagia tutti, anche lo studente Roberto, bravo ragazzo, che per caso sale sulla macchina del comico mattatore, incantato da un tipo di vita che mette al centro il piacere e il divertimento. L’amicizia tra i due è superficiale, ad unirli è solo la brezza di questa corsa sfrenata e amorale.
Il finale, senza fare spoiler, è tipico della commedia all’italiana, che ribalta il genere più leggero, negandogli quel lieto fine che ne è (nel resto del mondo) la caratteristica più irrinunciabile. Commedia all’italiana vuol dire tragedia comica, racconto neorealista solo superficialmente di intrattenimento. È una premonizione, una profezia di quel che succederà in Italia. Si corre senza regole verso il futuro, ci si dimentica tradizioni, doveri, senso di comunità in nome di egoismo, individualismo e nuovismo. La meta finale di questo viaggio spericolato è ignota e potrebbe rivelare qualche brutta sorpresa.
Un sacco bello, Carlo Verdone, 1980
Diciotto anni dopo l’Italia ha raggiunto quella meta e conosciuto quelle cattive sorprese che preannunciavamo. È un Paese in cerca di rinascita dopo gli anni della contestazione degenerati nel piombo e l’esplosione del consumo di eroina (leggi anche l’intevista al “68” e Movimenti giovanili e droga). Le bombe della strategia della tensione (quel tentativo di destabilizzare il paese e portarlo a destra iniziato nel 1969 con la strage di piazza Fontana) vengono evocate anche nel film, esordio e vero capolavoro del comico Carlo Verdone. Prodotto da uno dei più grandi protagonisti del cinema del secondo Novecento: Sergio Leone.
“Un sacco bello” è uno dei film meglio riusciti della “seconda commedia all’italiana”. Alcuni attori comici di successo tra cui Roberto Benigni e Massimo Troisi ridanno vitalità ad un genere che vent’anni prima aveva cambiato i canoni della commedia mondiale. Tra questi nuovi interpreti c’è anche Verdone.
Tanti i personaggi del film che raccontano Roma e l’Italia di fine anni Settanta, parte del vasto repertorio che il comico porta sullo schermo televisivo e cinematografico nella sua lunga carriera. La Chiesa dialogante post-conciliarista (rappresentata da Don Alfio) che cerca di trovare “analogie” con i movimenti giovanili, ma finisce per far arrabbiare i conservatori senza convincere i progressisti. Il dialogo tra generazioni diventato estremamente difficile tra i giovani contestatori e i loro padri, simbolo di una generazione con i piedi per terra e intrisa dei valori del dopoguerra. Un conflitto descritto attraverso l’indimenticabile confronto tra il personaggio di “Ruggero” e il compianto Mario Brega. Lo svuotamento delle grandi città nel periodo di Ferragosto, quando tutto è chiuso, evocato attraverso le lamentele di una turista spagnola. La poetica ricca di languore di Enzo, ultimo vitellone, un’evoluzione patetica del personaggio interpretato da Gassman nel Sorpasso. Vorrebbe darsi al divertimento, all’avventura, al viaggio in Nord-Europa che ha affascinato tanti giovani nei decenni precedenti. Si ritrova però solo, Don Chisciotte alla ricerca disperata di un Sancho Panza da coinvolgere nella sua avventura. Una fotografia di un mondo consumista, ma che forse ha smesso di sognare come un tempo.
Il casotto, Sergio Citti, 1977
Cosa succede sulle spiagge intanto? Simbolo del benessere e del consumismo di massa, raccontate anche dalla poesia di Eugenio Montale, le spiagge del Secondo Novecento sono uno dei luoghi più sociologicamente interessanti per narrare i cambiamenti del Belpaese degli ultimi decenni. Secondo il capolavoro di Sergio Citti accade che l’italiano moderno si confronta con il tema della sessualità, del peccato e del piacere, con tutte le repressioni e le nevrosi generate dalla morale cattolica.
Un cast stellare a partire dalla giovanissima Jodie Foster, per non parlare di Paolo Stoppa, Ugo Tognazzi, Mariangela Melato, Michele Placido e il mattatore Gigi Proietti in una delle sue interpretazioni più memorabili. Al centro del racconto collettivo di una giornata di mare a Ostia c’è “Il casotto”, lo spogliatoio. Metafora di una umanità messa a nudo, che si sveste del suo pudore e perde l’ingenuità, ma si confronta anche con il tema del rimorso religioso per il peccato.
Una estetica tipica degli anni Settanta, mescolata a citazioni bibliche, all’uso di grandi attori, a scene oniriche e sperimentali in cui perfetto è Proietti. Rievocazione in chiave moderna, metaforica e comica del giardino dell’Eden e della mela assaggiata da Adamo ed Eva. Fino alla tempesta, forse un tentativo di riecheggiare il diluvio universale, il bisogno inconscio di purificazione che tutti proviamo. Le storie di questi bagnanti e peccatori fino ad allora separate sono così costrette ad incontrarsi prima di dividersi per sempre.
Il Commissario Logatto, Dino Risi, 1986
Dino Risi ritorna con un film molto diverso dal Sorpasso a raccontare un’estate italiana anch’essa molto diversa da quella del 1962. Siamo negli anni Ottanta, nell’era d’oro del craxismo. L’edonismo ormai ha travolto il Paese. Risi ritorna sul tema con un film paradossale, ricco di sfumature demenziali. Apparentemente una commedia sexy, ma in realtà una caricatura di quel genere che si serve proprio del suo storico protagonista: Lino Banfi, qui alla sua migliore interpretazione. Spalla di Banfi sarà un altro comico pugliese: Maurizio Micheli.
Una commedia che ha estetiche tipiche di quel periodo storico, un uso del nudo disinvolto e qualche battuta che oggi probabilmente sarebbe ritenuta offensiva. Rappresenta però un’ottima sintesi per raccontare gli anni Ottanta, non solo per la colonna sonora trash, ma anche per il racconto del costume e della società italiana. Una pellicola che coglie come la sessualità ormai venga esibita in modo caricaturale, in un’Italia in cui l’immoralità si fa morale. In cui tutti sembrano alla ricerca del piacere, non come momento di gioia, liberazione o soddisfazione personale, ma come elemento funzionale e doveroso in una società votata all’edonismo. Un’altra profezia di quel che accadrà più tardi negli anni del Berlusconismo.
Un film che utilizza il genere più in voga in quegli anni, il poliziesco, e lo decostruisce, mescolandolo ad una trama di relazioni sentimentali degna delle soap opere che in quel decennio esploderanno. Anticipa tangentopoli e gli scandali sexy politici. Sfrutta un giovane Fabio Fazio per le imitazioni di Giovanni Paolo II e Giulio Andreotti. Racconta quel vizio italico di cercare lo scalpore con forza e costruire spesso castelli di carta dove i fatti risultano molto più banali, rischiando di lasciare impuniti i veri potenti. Infine negli anni del maxiprocesso e delle stragi di mafia, si confronta con ironia anche con questo tema bollente. Insomma un insospettabile baule ricco di riflessioni, laddove credevamo solo di guardare una scoppiettante e un po’ volgare commedia ambientata in una calda estate siciliana.
Ferie d’agosto, Paolo Virzì, 1996
Uno dei maestri della commedia all’italiana degli ultimi trent’anni scrive una sintesi politica, sociale e culturale della seconda Repubblica. “Ferie d’Agosto” già dal titolo è un film temerario, destinato a diventare un grande classico della commedia estiva.
È il confronto tra due italiette, che si trovano a conoscersi durante le vacanze e profondamente, scoprendosi estranee l’una all’altra. Un’Italia di destra, razzista, a cui piace la buona tavola e poco le discussioni filosofiche, ma profondamente infelice e poco libera. L’altra di sinistra, fricchettona, portatrice di valori positivi, ma vittima di altre ipocrisie, che fa fatica ad adattarsi al nuovo mondo di questa nuova Repubblica. Piena di parole, ma afona nel momento in cui vuole spiegare sé stessa e il suo progetto di società al di fuori della propria comunità culturale. Magistrale il confronto in questo senso tra Silvio Orlando ed Ennio Fantastichini, due grandi attori del cinema anni Novanta.
Molti saranno rimasti delusi perché non abbiamo citato titoli del cinema estivo come Sapore di mare, Rimini Rimini o più recenti come Un’estate al mare. Cinecocomeri, parenti dei cinepanettoni, ma a nostro parere meno interessanti nel racconto della società italiana e meno riusciti nella loro estetica rispetto alle versioni natalizie. Non ci resta che augurarvi buon ferragosto, suggerendovi tra un bagno, un cocktail e una passeggiata di guardarvi una di queste storiche e intramontabili pellicole.
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