Pubblichiamo un approfondimento su Dante Alighieri, nel giorno del 700esimo anniversario della sua morte (avvenuta il 13 settembre 1321). Si ringrazia AIM (Associazione per l’Italia nel mondo) – Cuba per la collaborazione. Articolo di Matteo Cazzulani (Twitter @MatteoCazzulani).
Spesso, quando si scrivono articoli brevi su Dante si commette l’errore di approssimare la figura del Poeta alle etichette solitamente attribuite all’Alighieri: Padre della lingua italiana, nobilitatore del volgare, principale esempio di uomo e letterato del medioevo. Tuttavia, ciò che si tende a tralasciare è un aspetto fondamentale dell’autore della Commedia, che lo stesso Dante ha tenuto a sottolineare, in più occasioni, nel suo famoso Poema, ossia il suo status di emigrato.
Certo, l’emigrazione di Dante, un esilio politico, è, per caratteristiche cronologiche, formali e sostanziali, difficilmente paragonabile alle ondate migratorie degli italiani nell’Ottocento, senza parlare della moderna emigrazione di disoccupati altamente qualificati in cerca di lavoro, e lavoratori autonomi alla ricerca di opportunità. Ciononostante, vi sono tratti ben marcati che accomunano l’esperienza di Dante e le emigrazioni successive, che il Poeta ben rappresenta in passi significativi della Commedia.
L’emigrazione alla base della Commedia?
Esponente politico di spessore della fazione dei Guelfi Bianchi, la componente dello schieramento “filo-papale” vicina alla famiglia dei Cerchi, tanto da ricoprire la carica di Priore di Firenze per due mesi nel 1300, Dante viene messo al bando dalla sua città natale nel 1302 a seguito della presa del potere da parte dei Guelfi Neri. La cordata del partito Guelfo vicina alla famiglia dei Donati, sostenuta da Papa Bonifacio VIII e supportata dal fratello del re di Francia Carlo di Valois, prende infatti il potere in città, e condanna il Poeta, assieme ad altri Bianchi, per presunte malversazioni ed abuso di potere.
Dopo avere cercato, invano, di aiutare i Guelfi Bianchi a riprendere il controllo di Firenze, anche attraverso un’alleanza “anomala” coi fuoriusciti Ghibellini, la fazione “filo-imperiale” i cui esponenti furono espulsi dalla città del Poeta dopo la vittoria dei Guelfi nella Battaglia di Campaldino (1289), Dante, stanco delle diatribe politiche che tanto gli sono costate, avvia un lungo esilio di vent’anni.
Bologna, Verona, poi Ravenna, ove il Poeta muore nel 1321 a seguito di una febbre contratta al ritorno di una missione diplomatica a Venezia, sono alcune delle mete che Dante tocca nel suo girovagare per l’Italia settentrionale alla ricerca di una stabilità sociale ed economica al di fuori di Firenze.
È proprio questo ventennio di emigrazione forzata che spinge Dante a dare alla luce la sua opera più importante, quella Commedia che è sì documento fondamentale per la nascita e il consolidamento della lingua italiana, ma che è anche portatore di importanti messaggi di carattere politico, linguistico, astronomico su cui non ci soffermeremo in questo breve articolo.
A testimonianza dell’importanza dell’emigrazione come evento ispiratore della Commedia sono svariati passi del Poema nei quali, sotto forma di profezie messe in bocca a personaggi di spicco di Inferno, Purgatorio e Paradiso, Dante fornisce una lettura profonda, intima e carica di contenuti dell’emigrazione che è costretto a vivere.
La durezza delle “altrui scale”
I versi più celebri con cui Dante descrive l’emigrazione sono quelli con cui Cacciaguida, trisavolo dell’Alighieri collocato nel V Cielo di Marte, profetizza l’esilio del Poeta nel Canto XVII del Paradiso:
Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo essilio pria saetta. 57
Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale. 60
I passi ben testimoniano quanto, per Dante, l’emigrazione sia un’esperienza contrassegnata da una enorme difficoltà, sia fisica che emotiva. Da un lato, il distacco dalle “cose dilette” che il Poeta ha dovuto lasciare a Firenze, leggasi legami personali e beni privati. Dall’altro, l’incertezza legata al dover dipendere dalla benevolenza dei governanti che lo accolgono, “le altrui scale”, oltre che la privazione di uno status di cittadino a pieno diritto a cui un esiliato può difficilmente ambire.
Il concetto del dolore legato alla separazione dai propri affetti e beni materiali è già presente nel Canto X dell’Inferno, nel quale il tema della difficoltà di rientrare presso la propria città d’origine è sollevato da Farinata degli Uberti.
Capo dei Ghibellini di Firenze, personaggio di una caratura politica assoluta, e per questo comunemente rispettato, e temuto, sia a Firenze che nel resto dell’Italia settentrionale dell’epoca, Farinata, collocato nella Città di Dite tra gli Eresiachi, sottolinea come egli sia riuscito in ben due occasioni a cacciare i Guelfi da Firenze.
Come pronta risposta, Dante evidenzia come i Guelfi siano riusciti a tornare e riprendere il potere, a differenza dei discendenti di Farinata che, in quanto Ghibellini, sono stati esiliati a seguito di una messa al bando da parte del Partito Guelfo (simile a quella che avrebbe colpito anche Dante), senza mai riuscire a fare rientro a Firenze.
«Ma fu’ io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto». 93
«Deh, se riposi mai vostra semenza»
A conferma di quanto la difficoltà di dovere dipendere dalla benevolenza altrui sia, per Dante, un tratto caratteristico della propria emigrazione vi è la profezia che il Poeta mette in bocca a Corrado di Malaspina nel Canto VII del Purgatorio:
La fama che la vostra casa onora, grida i segnori e grida la contrada, sì che ne sa chi non vi fu ancora; 126
e io vi giuro, s’io di sopra vada, che vostra gente onrata non si sfregia del pregio de la borsa e de la spada. 129
Uso e natura sì la privilegia, che, perché il capo reo il mondo torca, sola va dritta e ‘l mal cammin dispregia». 132
Ed elli: «Or va; che ‘l sol non si ricorca sette volte nel letto che ‘l Montone con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, 135
che cotesta cortese oppinione ti fia chiavata in mezzo de la testa con maggior chiovi che d’altrui sermone, se corso di giudicio non s’arresta». 139
Collocato nella Valle dei Principi Negligenti, Corrado, signore di Lunigiana, premonizza come Dante avrà modo di giovare dell’ospitalità dei Malaspina, presso i quali il Poeta trascorre qualche tempo nei primi anni del suo esilio, più precisamente nel 1306, ospite di Franceschino di Malaspina.
Leggere Dante per capire gli italiani all’estero di oggi
Seppur forzata, in quanto dettata da ragioni politiche, l’emigrazione di Dante presenta connotati che facilmente possono essere riscontrati anche nell’emigrazione economica “volontaria” degli italiani nei secoli successivi, compresa quella contemporanea, forse un po’ troppo incautamente bollata come “fuga dei cervelli”.
Il dolore per il distacco dal paese d’origine (considerando “paese” non solo l’Italia, ma anche la città o il borgo di provenienza), la difficoltà di doversi imbattere in mercati del lavoro con caratteristiche e dinamiche molto differenti da quelle italiane, oltreché, più banalmente, il dovere affrontare burocrazie di altri stati sono infatti tratti comuni difficili da digerire che, così come per Dante, rappresentano la quotidianità per molti italiani all’estero.
Seppur con le dovute differenze e proporzioni, la Commedia, dunque, si rivela una fonte preziosa per cogliere sfumature caratteristiche del fenomeno migratorio che tanto ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, la storia degli italiani.
Per questo, lo studio di Dante e la sua celebrazione in occasione del settecentesimo anniversario dalla morte del Poeta, si rivelano un’azione utile e necessaria anche e soprattutto per avvicinare il “grande pubblico” alla comprensione di chi siano e cosa provino gli italiani nel mondo.