La ricerca scientifica ha individuato due varietà di ulivo resistenti alla Xylella (il batterio che sta distruggendo gli alberi secolari in Puglia): la Favolosa e il Leccino. Certo non produrranno lo stesso olio delle varietà storicamente più diffuse in Puglia, ma non abbiamo alternativa per sostituire i “boschi ormai secchi” di ulivi in Salento. O forse sì, perché il progetto SCREEN-X, finanziato con fondi regionali all’Università del Salento ha dato qualche risultato interessante. In particolare sono Stefano Pavan (foto sotto) ed altri ricercatori delle Università del Salento, di Bari e di Foggia (Marzia Vergine, Francesca Nicolì, Erika Sabella, Alessio Aprile, Carmine Negro, Valentina Fanelli, Michele Antonio Savoia, Vito Montilon, Leonardo Susca, Chiara Delvento, Concetta Lotti, Franco Nigro, Cinzia Montemurro, Luigi Ricciardi, Luigi De Bellis e Andrea Luvisi) ad aver conseguito alcuni esiti promettenti.
Però la loro ricerca è ferma al primo tempo, cioè bisognerebbe ora proseguire il lavoro per ottenere una risposta certa e definitiva. Per ora purtroppo manca un nuovo finanziamento che permetta di concludere la partita e portare a casa un risultato che potrebbe essere importantissimo per il futuro dell’olivicoltura italiana.
«Tutto è iniziato negli uliveti secchi del Salento – spiega Stefano Pavan il responsabile della ricerca -, dove circondate da decine di piante completamente morte, c’erano ulivi che praticamente non presentavano sintomi della malattia (foto in evidenza). Noi ne abbiamo presi in considerazione 30. Così sono nate spontanee le domande: sono piante che miracolosamente non si sono infettate? Sono piante appartenenti alle varietà resistenti già note? Oppure nel territorio pugliese sono già presenti altre varietà di ulivi resistenti alla Xylella che possano diventare un’alternativa a quelle finora conosciute?»
Le piante in realtà si è scoperto che effettivamente sono infette dal batterio, eppure dopo anni continuano a non dare segni evidenti della malattia. Così è iniziata la ricerca genetica per capire a quale tipo di varietà fossero riconducibili questi ulivi. Un confronto tra il patrimonio genetico dei 30 alberi in questione e quello di 140 varietà di olivo coltivate in Italia e nel Mediterraneo. Per 11 di queste nulla di nuovo, erano geneticamente molto simili al Leccino. Per altre però ecco che l’analisi genetica ha dato qualche speranza.
«Cinque di queste erano praticamente identiche ad una varietà già presente nel territorio pugliese – racconta Pavan -, ma finora poco conosciuta: la Ciciulara. Particolarmente interessante è poi l’aver individuato una pianta con caratteristiche genetiche molto simili a quelle di diverse varietà tunisine. È importante perché si tratta di varietà adatte a climi caldi e alla siccità, cioè alle due condizioni a cui va incontro la nostra regione con l’avanzare dei cambiamenti climatici. Ora però servirebbero altre sperimentazioni per confermare la resistenza di queste varietà».
La ricerca ha poi evidenziato dei casi più complessi che meritano ulteriore approfondimento. Continua Pavan: «Le 14 piante rimaste non avevano caratteristiche che potessero ricondurle a nessuna varietà finora conosciuta. Avevano somiglianze più labili con una ventina di altre varietà, tra cui la ‘Cima di Mola’». Un altro risultato interessante essendo quest’ultima molto diffusa nella Murgia. Una tradizione importante da cui nasce un olio storico, ma messa in pericolo dall’avanzata della malattia verso il barese.
La ricerca però ora è ferma, in attesa di altri finanziamenti. Eppure sarebbe importantissima per costruire la Puglia e l’olivicoltura che verrà. Finora le ricerche sulla Xylella si sono concentrate principalmente sulla lotta al vettore e alla diffusione della malattia, necessarie per evitare che altri territori conoscano la catastrofe salentina. Però forse accanto a queste ricerche bisognerebbe anche approfondire studi di tipo genetico sfruttando, nella sfortuna, l’eccezionale situazione di avere in Salento un laboratorio a cielo aperto dove poter fare ricerca su una malattia così terribile come la Xylella.
«Quello che sta accadendo con la Xylella non è un episodio isolato nella storia dell’agricoltura. È successo più di 100 anni fa con la vite colpita dalla fillossera. Il caso più emblematico però è quello dell’Irlanda, dove la grande emigrazione verso gli Stati Uniti nel 1800 fu il frutto di una malattia che aveva colpito la patata, la peronospora. L’uomo ha risolto queste epidemie proprio attraverso la ricerca genetica, che ha identificato biodiversità resistenti. Possiamo quindi immaginare un futuro in cui si torni a coltivare gli olivi e a produrre olio, anche laddove oggi vediamo distese di piante morte. Per farlo dobbiamo trovare e coltivare quante più varietà possibili resistenti alla Xylella, cercando di non restare prigionieri di monoculture, ma puntando sulla ricerca per avere e diffondere diverse cultivar. Varietà che magari ci daranno un olio dalle proprietà organolettiche diverse da quello del Leccino e della Favolosa e potranno aiutarci a rilanciare la nostra produzione», conclude Pavan.
Ringraziamo per tutte le foto Stefano Pavan
Sulla Xylella leggi anche l’intervista a Leonardo Capitanio