Estate di San Martino, 5 poesie per decantarla
L’estate di San Martino è tornata a posarsi sui nostri sguardi con i suoi ossimori, i suoi contrasti, i suoi presagi. Periodo dell’anno che è stato tra i più solennemente decantati dai poeti italiani. Soffocato dalla tradizione consumista importata d’oltreoceano, Halloween, e dal bisogno altrettanto consumista di anticipare la Las Vegas natalizia, per prolungarne i consumi e gli sprechi insostenibili.
Forse in questo periodo storico avremmo invece bisogno degli arcaici e poetici riti della terra di novembre e della sua umile essenza spirituale e riflessiva, che riservano anche qualche inattesa sorpresa. Perché dopo il triste e piovoso ottobre ed il suo commiato alla bella stagione e prima del freddo inverno, novembre è invece la promessa di una rinascita. Il presagio che finito il gelo tornerà a fiorire il mondo. All’inizio del mese effettivamente, dopo il piovoso ottobre, ritorna brevemente a essere protagonista il sole, con alcuni giorni di alta pressione, che producono l’illusione di una nuova “Estate”, prima che arrivi il buio e freddo inverno ammantato di neve e sbornie festive.
È un periodo di raccolta di frutti preziosi, come le olive. Le famiglie prendono d’assalto i boschi di castagni e noci e rifioriscono le sagre dedicate ai funghi, alle caldarroste e agli altri prodotti della stagione. Un’estate dove ai bagni nel mare si sostituiscono quelli nelle coppe di vino, il novello, vero re di questo periodo. Così novembre più che mese della morte, diventa il mese di Bacco, dei riti dionisiaci. Lo stesso richiamo ai defunti ha una funzione esorcizzante, è una metafora del seme che viene piantato nel terreno, perché rifiorisca, rinasca.
Soprattutto è un mese di contrasti, gli alberi perdono le foglie, eppure la campagna non sembra mai così viva e accesa di colori: giallo, rosso e perfino rosa. Il suo cielo è limpido, eppure il clima è fresco e i paesaggi tradiscono l’inverno che sta per arrivare. Al Sud c’è perfino chi ne approfitta per gli ultimi bagni dell’anno. Per questo la breve illusoria estate novembrina, è stata fonte di magnifica ispirazione per i poeti italiani. Abbiamo scelto 5 componimenti per decantare questo periodo.
San Martino, Giosuè Carducci, 1883
La nebbia agl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar
Quando diciamo San Martino o quando nel cimitero monumentale di Bologna incontriamo la tomba dedicata al vate Carducci (foto sopra), le prime strofe di questa poesia iniziano a cantare automaticamente nella nostra testa. Sono il prodotto delle prime fatiche mnemoniche della nostra vita, reiterate da generazioni di insegnanti della scuola elementare. Una tradizione italiana irrinunciabile che ripete come in un rosario in eterno ritorno che “sotto il maestrale urla e biancheggia il mar”.
Qui vengono esaltati i riti dell’autunno, quelli sempre più dimenticati. Quelli che erano tipici degli antichi borghi e che abbiamo perduto trasferendoci in massa nelle grandi città. Forme di resistenza al freddo che avanza e che questa poesia ci restituisce con immagini nitide, evocando profumi e suoni rispetto ai quali ci sentiamo orfani. Lo spiedo che scoppietta e il vino che rinfranca, rallegra. E nel rosso del tramonto autunnale gli uccelli e i pensieri dell’uomo si muovono evocando con una pennellata, una sensazione di malinconia. Tutto vive in un equilibrio, in una pace che unisce elementi naturali, paesaggistici e umani. Ed è forse proprio questo equilibrio che abbiamo perso nella contemporaneità…
Gli amori in servitù, Ippolito Nievo, 1885
La poesia precedente di Carducci in realtà è stata ispirata da due componimenti da lui molto amati. Si tratta de “Gli amori in servitù” di Ippolito Nievo (foto accanto). Anche il poeta patriota e mazziniano aveva scritto due poesie suggestionato dalla veste dell’autunno, dalla sua significativa potenza poetica.
Quando dai poggi ameni
L’aura autunnal respiro
Tutti ne vanno in giro
Ridendo i miei pensier.
Il paesello è assiso
Sopra un’ombrosa china;
Lo guarda ogni collina
In atto lusinghier.
Al rosseggiar del vespro
Cinguetta il passeraio,
L’artigianello gaio
Canta nel suo camin;
E noi, qual fosse appunto
Pupillo nostro il mondo,
Sediam in piazza a tondo
Librandogli il destin.
Questa è la seconda poesia di Nievo, sotto lo stesso titolo della precedente:
Già un vasto mar di nebbie
E d’ombra il pian sommerge,
Donde il pennon s’aderge
Di qualche fumaiuol.
L’ombra per colli e monti
Inerpicando sale;
Par che l’estremo vale
Mandi alla terra il sol,
E l’ultimo suo raggio
Perdendosi sublime
Sulle nevose cime
Cerca il natio candor.
Tal nel morire a un’alta
Speme sorgendo io pure,
Racquisterò le pure
Soavità d’amor!
Leggendole emergono con chiarezza le immagini che Carducci poi approfondirà nella sua futura poesia. “L’artigianello gaio” che “canta nel suo camin”. “L’ombra per colli e monti” che “inerpicando sale”. È come se vedessimo lo sguardo del vate posarsi sui versi dell’altrettanto grande Nievo e la sua mano iniziare a sottolineare quei passi, mentre la mente inizia a reinventarli. A comporre San Martino.
San Martino, Camillo Sbarbaro, 1911
La prima neve subito si squaglia,
e di ruscelli abbevera i maggesi.
Avvezzi i pin dei venti alla battaglia,
stanno nell’aria tepida sorpresi.
Ma per che l’ala intirizzita pesi
al passerotto che qua e là si scaglia;
e tace il verso dei tacchini vanesi,
e stecchita si drizza la boscaglia.
Pur se questo, Novembre, è un tuo trastullo,
e di timo non hai cespo che odori,
né lodoletta e lasci il pesco brullo,
mi piace il gesto tuo, perché t’accori
d’esser barbogio e vuoi tornar fanciullo,
come d’un vecchio che raccolga fiori.
Con questa poesia di Camillo Sbarbaro (foto sopra), ritorniamo a parlare dell’estate di San Martino e di questi giorni eccezionali. Il poeta ligure descrive novembre come un anziano che non si arrende alla vecchiaia, che si china a raccogliere i fiori. Si scioglie la prima neve, la vegetazione e la fauna si sorprendono per la tiepida aria. Nonostante questo tentativo di tornar fanciulli, novembre non riesce a mascherare completamente la sua natura di mese che precede l’inverno. Il pesco è brullo. Malgrado questa constatazione allegro e pieno di vita, giocoso è il finale del componimento. Un inno alla voglia di vivere, di rifiorire.
Novembre, Giovanni Pascoli, 1891
Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.
Forse la migliore opera dedicata all’estate di novembre. Un tono molto diverso dalle precedenti poesie, che dialoga con i più profondi temi e tormenti di Giovanni Pascoli (foto sopra). Un tradimento, un tranello, una illusione, quella della bella stagione viene infranta e smascherata con una osservazione più attenta. Qui si gioca la dolorosa partita tra illusione e realtà. Gli iniziali presagi d’estate vengono traditi da inequivocabili indizi di inverno. Così una speranza di vita lascia il passo al fetore della morte, evocata con quella geniale e glaciale conclusione.
In particolare è nel verso della disillusione che incontriamo l’immagine più potente: “Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno”. Immaginiamo un po’ come nella foto in evidenza, questi rami che sembrano crepe nella narrazione quasi estiva del cielo azzurro e del bel sole di inizio novembre. Una metafora che può essere usata anche al di fuori del contesto in cui l’ha collocata il poeta romagnolo, per tutti i momenti di vertigine in cui viviamo la scoperta di un inganno, il tradimento di una speranza, lo smarrimento di fronte ad una promessa non mantenuta. In cui il cielo ci sembra vuoto e il mondo un inganno sconosciuto e spaventoso.
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