Etiopia, il premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed: «Imbracciate tutti le armi»
Il primo ministro etiopico Abiy Ahmed ha recentemente dichiarato: «Imbracciate tutti le armi…unitevi al nostro eroico esercito…vendichiamoci…schiacciamo i codardi, i maligni, i traditori». Una frase da premio Nobel per la Pace, che ha scelto il metodo violento ed è impegnato in una spietata guerra civile, escludendo qualsiasi tipo di trattativa, almeno fino ad ora.
Ben poca pace
Non c’è pace in Etiopia, ma molta guerra.
Alleato con i ribelli del Tplf, l’Esercito di Liberazione Oromo (Ola), guidato da Jaal Marroo, minaccia di marciare su Addis Abeba. Può questa convergenza di lotte avere la meglio sul primo ministro etiope? Abiy Ahmed l’ha visto come uno sfogo o prende sul serio la minaccia?
«Quello di cui sono sicuro è che tutto questo finirà molto presto. Ci stiamo preparando a lanciare un nuovo attacco», ha detto Jaal Marroo il 7 novembre. Con sicurezza, il capo dell’Esercito di Liberazione Oromo si è detto convinto che «il governo sta solo cercando di guadagnare tempo e iniziare una guerra civile, invitando la nazione a combattere».
Oromia, da 45 anni in lotta
Lo scorso agosto, l’Ola, il braccio armato del Fronte di liberazione dell’Oromo, Olf, istituito nel 1973, si è unito al Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf). Insieme, hanno già minacciato di marciare su Addis Abeba. Nel 2018, però, quando Abiy Ahmed era appena stato nominato primo ministro, l’Olf e il suo governo avevano concluso un accordo di pace destinato a porre fine a quarantacinque anni di lotte per l’autodeterminazione dell’Oromia, la più grande e popolosa regione del paese. Una cerimonia in piazza Meskel, nel cuore della capitale, aveva anche salutato ufficialmente il ritorno dall’ esilio dei leader storici dell’Olf, tra i quali Dawud Ibsa.
Ma Jaal Marroo era sospettoso della mano tesa da Abiy Ahmed. Il ritorno dell’Olf gli sembrava solo simbolico e, senza armi, il popolo Oromo non avrebbe avuto più potere se Addis Abeba avesse deciso di non mantenere le sue promesse. Si era quindi rifiutato di disarmare, il che aveva contribuito a una divisione tra l’Olf e l’Ola.
All’inizio di novembre, l’Ola, il Tplf e altri sette gruppi ribelli hanno annunciato che stavano formando un fronte unito contro l’esercito federale. «Questo Fronte Unito mira essenzialmente a eliminare, prima di tutto, il regime genocida in Etiopia e a stabilire un sistema di transizione in cui tutte le parti e le entità interessate si incontreranno e discuteranno del futuro dell’Etiopia. Ciò contribuirà a salvare il paese da ulteriori spargimenti di sangue e garantirà che le diverse identità del paese possano decidere il loro destino».
Chi è Jaal Marroo, leader dell’Ola
Poco si sa di Jaal Marroo. Il suo passato viene narrato come una saga epica, destinata a ispirare i suoi seguaci. Nato Miliyon Diriba, ha scelto di chiamarsi Jaal, che significa compagno, in lingua oromo. All’inizio degli anni 2000, è entrato all’Università di Addis Abeba e lì ha studiato management. Membro della Fight to Resist Oppression e poi di un movimento clandestino chiamato Youth for the Freedom of Oromia, è stato arrestato più volte prima di entrare formalmente nell’Ola.
È fuggito in Kenya, poi in Uganda dove è stato arrestato nel 2008 e imprigionato per un anno e mezzo. Infine rilasciato, è fuggito di nuovo e ha trovato rifugio in Eritrea. È tornato in Etiopia solo dopo la morte del comandante militare dell’Ola Jaal Legesse Wogi, ucciso al fronte nel 2010.
Di Jaal Marroo conosciamo anche il fratello, Sisay Diriba. Economista che insegna all’Università di Haramaya, situata in Oromia, pubblica frequenti dichiarazioni pro-Ola sulla sua pagina Facebook. Nel dicembre 2020 ha accusato il governo federale di aver picchiato i suoi genitori e di aver rapito suo padre.
La stessa Ola è stata spesso accusata di rapimenti e attentati, culminati in un attacco nel villaggio di Gawa Qanqa quando 54 persone, per lo più della comunità amhara, avevano perso la vita lì. Amnesty International all’epoca ha sottolineato che i responsabili dell’ attacco erano «sospettati di essere membri dell’Esercito di Liberazione Oromo», cosa che Jaal Marroo ha negato. Pochi mesi dopo, ha aggiunto: «Per quanto riguarda le atrocità commesse contro gli Amhara nell’Oromia occidentale, il governo etiope è l’unico responsabile. Un organismo indipendente deve avere accesso alle aree in questione e l’Ola è più che pronta a collaborare con gli investigatori».
Nel 2014, un rapporto di Amnesty ha rivelato che, tra il 2011 e il 2014, almeno 5mila Oromo erano stati arrestati a causa della loro opposizione, reale o sospetta, al governo. Su Facebook molti post fanno eco anche alle violenze commesse negli anni successivi dall’esercito federale, violenze non riportate sui principali canali televisivi. Queste accuse sono difficili da verificare, ma l’anno scorso, in un rapporto sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza etiopi, Amnesty ha confermato che i crimini erano stati commessi ad Amhara e Oromia.
Il precedente, il genocidio in Ruanda
«Le forze di sicurezza etiopi hanno commesso terribili violazioni dei diritti umani, tra cui case incendiate, esecuzioni extragiudiziali, stupri, arresti e detenzioni arbitrarie, a volte di intere famiglie», ha scritto Amnesty.
Il Fronte di liberazione Oromo ha recentemente dichiarato «Siamo a 40 km dalla capitale» ed è questo che ha indotto molti stranieri ad abbandonare Addis Abeba e Abiy Ahmed, Premio Nobel per la Pace, a esortare i suoi a schiacciarli, gli oromo, come scarafaggi, prendendo così ad esempio i genocidi tutsi del Ruanda.
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