Da Eduardo a Guzzanti, 5 commedie di Natale all’italiana
Una maratona di 5 commedie di Natale per raccontare l’Italia. Una proposta di Ventuno per sfuggire al menù cinematografico delle feste. Cinepanettoni, kolossal d’oltreoceano, cartoni animati Disney e qualche paradossale storia d’amore o peggio di folletti, renne e slitte. In fondo i film di Natale sono nell’immaginario collettivo un po’ questo. I canali televisivi e i servizi on demand stanno per inondare le nostre serate e pomeriggi di film più dolci del Pandoro o più indigeribili del cotechino di Capodanno. Per questo abbiamo deciso di proporvi una lista di 5 commedie all’italiana.
È proprio tramite la festa più mielosa dell’anno che la commedia all’italiana ha raccontato ipocrisie e orrori della società e della famiglia contemporanea, che ha scavato oltre le apparenze, a volte in modo farsesco e a volte in modo cattivo. Che ci ha donato storie senza pietà e finali duri, facendoci fuggire dalla prigione dorata e irreale costruita intorno a questa festa dal gusto a volte troppo familista, ipocrita e borghese.
Natale in casa Cupiello, Eduardo de Filippo, 1931
Sebbene le versioni televisive che tutti possiamo riguardare grazie a Mamma Rai siano state girate nel 1962 e nel 1977, è nel 1931 che nasce la prima versione di Natale in casa Cupiello. Il grande classico di Natale per l’Italia. Inarrivabile, imitato da tutte le commedie successive, mai capaci di restituirci la sua bellezza, la sua atmosfera. Irrinunciabile come il Panettone. Forse la commedia teatrale più amata dagli italiani che da generazioni continuano a ripeterne le battute iconiche.
Una commedia costruita negli anni, quattro ha detto l’autore Eduardo de Filippo. Grazie a questa rappresentazione negli anni Trenta diventa famosa la compagnia: “Teatro Umoristico I De Filippo”. Con i tre fratelli più amati della commedia italiana: Eduardo, Peppino e Titina. Della compagnia faceva poi parte anche l’amatissima Tina Pica, protagonista decenni dopo, insieme a Vittorio De Sica, della saga di Pane, amore e fantasia (leggi anche le maschere della commedia italiana). Un capolavoro della tradizione teatrale di Napoli, città che tutti amiamo anche grazie a cantori come Eduardo de Filippo.
Ci restituisce una realtà antica, un’Italia intima e semplice. Il Paese ingenuo e brillante, pieno di vita e di espedienti dell’era pre-consumista. È un Natale fatto di tradizione e dall’atmosfera calda. Attraverso le miserie di una famiglia umile si vive il pirandelliano dramma di un uomo che è travolto da un mondo che diventa troppo complesso e distante dai suoi valori. Così come un po’ tutti a Natale, il protagonista cercherà rifugio in una dimensione alternativa, fanciullesca, rifiutando di confrontarsi con una realtà che oggi Paolo Sorrentino definirebbe “scadente”.
Vacanze di Natale, Carlo Vanzina, 1983
Ebbene sì, anche se i Cinepanettoni non ci piacciono, non possiamo non citare il capostipite di quel genere. Pellicola certamente più digeribile dei successivi e ripetitivi film di Natale all’italiana, che diranno molto di quel paese volgare, superficiale, dominato dalle Tv e dalla morale berlusconiana nato alla fine del Secolo breve. Il primo Vacanze di Natale è un classico, che tanto ci dice sugli anni Ottanta e riesce comunque a farci sorridere.
Siamo lontani anni luce dall’eleganza, ispirazione e preziosità artistica delle commedie di Eduardo. L’Italia è completamente diversa. Il modello consumista ha trionfato in modo irreversibile. La reazione alla prima ondata di consumismo, quella contestazione giovanile (leggi anche l’intervista al ’68) che ha percorso l’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, è ormai un ricordo sgradito. La pellicola è destinata ai nuovi giovani, che poi da allora rimarranno fedeli alla tradizione dei panettoni cinematografici. Ritrae soprattutto loro, la moda dei “paninari”, disimpegnati e belli, con i loro volti e i loro vestiti rassicuranti. Nativi consumisti. Portatori di un nuovo modello, quello dell’homo consumens, pronto a farsi protagonista dell’era d’oro del neoliberismo arrembante. Le stesse pettinature, gli stessi abiti e le stesse atmosfere che un anno dopo saranno raccontate anche dal video musicale del singolo di successo Last Christmas dei Wham, lontano anni luce dai gusti sonori degli anni Settanta.
Questo film è un prodotto di consumo, ma molto raffinato. D’altronde il suo regista è Carlo Vanzina, figlio del grande Steno (Guardie e ladri; Un americano a Roma) e fratello di Enrico (sceneggiatore di Febbre da cavallo e Il commissario Logatto) e che annovera un altissimo numero di pellicole comiche di successo, ma anche un thriller con protagonista Gian Maria Volonté: Tre colonne in cronaca. Alcune battute del film sono rimaste nella memoria collettiva e vengono spesso ripetute sotto l’albero. Se tutti riconduciamo la saga Vacanze di Natale alle farsesche avventure di Cristian De Sica e Massimo Boldi, nel primo film, che ha dato origine al genere, proprio questo aspetto manca. Massimo Boldi non c’è. Cristian De Sica interpreta un ragazzo bisessuale, che ha pagato la bella Samantha per nascondere ai genitori borghesi le proprie scappatelle con altri uomini. Nel cast c’è oltre a Jerry Calà nel momento di massima gloria, anche attori come Riccardo Garrone, Stefania Sandrelli, Claudio Amendola e caratteristi molto amati come Guido Nicheli e Mario Brega. La colonna sonora, fatta di pezzi intramontabili, come Moonlight Shadow, non tradisce il pubblico giovanile a cui il film era dedicato.
Parenti Serpenti, Mario Monicelli, 1992
Dieci anni dopo l’esplosione dello yuppismo e della vittoria del nuovo modello umano e sociale individualista e consumista, l’Italia è alle prese con la definitiva rottamazione di tutto ciò che di vecchio e di ormai indesiderabile è rimasto dell’antico regime pre-iperliberista. È il 1992. Tangentopoli ha svelato il marciume del partitismo e gli italiani ora vogliono sbarazzarsi non solo dei vecchi partiti, ma anche dei loro valori e delle loro ideologie. Bisogna sotterrare ciò che è vecchio, ciò che non si può piegare alle nuove esigenze, alle nuove ipocrisie, al nuovo edonismo senza regole e senza remore. Forse non è un caso che nel 1992 nelle sale esca Pareti serpenti.
Parenti serpenti è una storia d’orrore e di macelleria culturale, mascherata dal genio di Mario Monicelli attraverso la leggerezza di una commedia. Monicelli è uno dei grandi maestri della commedia all’italiana: I soliti ignoti, La grande Guerra, L’armata Brancaleone, Amici miei. Dirige qui Alessandro Haber in veste di mattatore e Paolo Panelli forse nella sua parte più iconica e tenera. Una famiglia si riunisce intorno al focolare natalizio, fingendo ipocritamente una purezza e un affetto che ormai sono andati perduti, finché non esplodono i conflitti e non solo quelli, nel Capodanno più feroce e crudele della storia del cinema. D’altronde in passato in Italia l’ultima sera dell’anno era tradizione disfarsi di ciò che ormai nelle case veniva considerato troppo antiquato.
Fuori dalle sale quel 1992 sta archiviando definitivamente ciò che rimane del piccolo genuino mondo antico del Belpaese. Ne esce un’Italia opposta a quella che Eduardo voleva salvare attraverso una finzione fanciullesca sessant’anni prima. Un’Italia di individui egoisti e immorali. Un’Italia che per affermarsi definitivamente non si fa scrupolo di usare le esplosioni e le bombe (è l’anno degli attentati della mafia più sanguinari). Che non ha paura di sotterrare la parte migliore di sé, perché la triste festa possa continuare (leggi anche l’album dei ricordi della Repubblica italiana).
Ogni maledetto Natale, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, 2014
La commedia italiana più moderna e originale sul Natale. Inizialmente non compresa da un pubblico forse non pronto ad un film ferocemente intelligente, come lo ha brillantemente definito sul Fatto quotidiano Anna Maria Pasetti, e sottovalutato da una critica D’antan e insopportabile. Un anti-film di Natale e un anti-cinepanettone, per i tre sceneggiatori di Boris: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo. I tre avevano già preso di mira il cinema di Natale italiano grazie proprio a Boris – Il Film e qui ci propongono una commedia che ribalta l’idea comune del Natale, forse rintracciandone gli aspetti grotteschi e più veri. La festa delle luci diventa la notte più spaventosa e lunga dell’anno. Una tradizione pagana, un calvario rituale in cui ci si confronta a volte con pranzi e cene sgraditi. Un’idea originale che ci fa commuovere, se pensiamo alla perdita prematura di Mattia Torre, scomparso dopo una lunga malattia nel 2019.
Un film imperfetto forse, ma destinato a diventare un cult sempre più amato con il trascorrere degli anni. Sorretto dalla performance dei suoi grandi attori. Oltre ai due bravissimi protagonisti Alessandra Mastronardi e Alessandro Cattelan, ci sono pezzi da novanta della settima arte nostrana come: Francesco Pannofino, Corrado e Caterina Guzzanti, Laura Morante, Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Valerio Aprea, Stefano Fresi e Andrea Sartoretti.
La commedia vede i due protagonisti doversi confrontare prima con la cena di Natale a casa di lei e poi con il pranzo a casa di lui. Qui incontrano in un crescendo surreale due famiglie di ceto e cultura diverse, che però nascondono la stessa barbarie, la stessa ipocrisia, la stessa incomprensione per i due millennials alla ricerca di sé stessi. Due facce della stessa medaglia, interpretati dagli stessi attori per geniale intuizione. Ne viene fuori un cult, un film corale, che hai voglia di rivedere ogni anno, non smettendo mai di ridere per le gag e la recitazione inimitabili.
La prima pietra, Rolando Ravello, 2018
Per ultimo abbiamo scelto il film meno conosciuto di questo elenco, che finora ha contemplato solo cult. Un tesoro sottovalutato, impreziosito dall’abilità comica di uno degli attori già citati per la pellicola precedente. Nel 2018 protagonista del Natale è di nuovo Corrado Guzzanti, questa volta mattatore di una commedia grottesca e che ci racconta uno scontro drammatico con un climax crescente e un finale all’italiana.
È la fotografia dell’Italia delle culture, in cui emergono rigurgiti razzisti, incomprensioni reciproche, recriminazioni antiche e fobie ataviche e irrazionali. Sono i temi caldi del terzo millennio e toccano nervi sempre più scoperti. Ce ne accorgiamo anche pensando solo alla polemica di qualche settimana fa sul documento europeo per la “comunicazione inclusiva”, in cui si proponeva di sostituire al tradizionale termine “Natale”, il più neutro “festività”. Cosa succede se qualcuno in un clima di apparente equilibrio come questo scaglia l’evangelicamente evocata prima pietra?
È anche il ritratto di una scuola italiana impotente, che ha perso ruoli e strumenti educativi, che ha smarrito fiducia e sembra muoversi con fatica all’interno dei compiti ad essa assegnati. Guzzanti è magico nell’interpretare questo dramma kafkiano attraverso la figura, che suscita una pietà fantozziana, di un preside che sembra l’unico che vanamente vuole ricucire le ferite di questa comunità. Accanto a lui Valerio Aprea, Iaia Forte, Kasia Smutniak, Serra Yilmaz e Lucia Mascino dipingono, attraverso un lungo infruttuoso dialogo, il paesaggio di una società frammentata e incapace di trovare una ricomposizione. Personaggi immersi nell’atmosfera gelida di un Natale che non è più in grado di svolgere il ruolo che aveva avuto nella tradizione borghese occidentale. La festa cristiana non è più capace di includere e ricucire, in una ipocrita illusione, le anime di una società, che in futuro dovrà sforzarsi di trovare nuovi simboli e valori che possano raggiungere questo scopo.
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