Nino Rota, premio Oscar che amava più l’insegnamento a Bari che il mondo delle star
Oggi, centodieci anni fa, a Milano nasceva Nino (Giovanni) Rota, sofisticato compositore musicale, a cui dobbiamo tante note che hanno arricchito di malinconica allegria e ironia la nostra vita. A chi pur poco conosce il mondo della musica, basteranno alcuni titoli per sorridere e sognare: “Il padrino” (vinse un Golden Globe e poi l’Oscar per la colonna sonora del secondo film), “la Dolce Vita”, “Amarcord” e alcuni tra i più famosi componimenti che spesso accompagnano le esibizioni circensi, ma che sono nati come colonne sonore dei film di Federico Fellini. Una musica che ha osservato i cangianti moti dell’anima e del sentimento e li ha espressi. Note senza le quali è impossibile pensare alla Roma del boom economico, all’amore tra Romeo e Giulietta (ha scritto la colonna sonora del film di Franco Zeffirelli) o alle avventure di Gian Burrasca. Questa è la parte più conosciuta di una produzione musicale più ampia, di un artista che ha messo al centro dei suoi interessi il suo lavoro di direttore del Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari.
Per raccontare questo protagonista della cultura del Novecento abbiamo intervistato la pianista, Doctor of musical art (Dottore di arti musicali) e maestro di musica Sara Giusti (foto sotto), autrice di un libro sul grande compositore: “Il pROTAgonista tra le righe”, Florestano Edizioni. È stata studente a Monopoli del Conservatorio a lui dedicato. Una realtà nata inizialmente come sede distaccata dell’istituto barese, negli anni in cui era direttore del Piccinni proprio Rota.
Se volesse convincere un giovane all’ascolto di Nino Rota, qual è il primo brano che consiglierebbe?
«Credo che un giovane si divertirebbe molto ad ascoltare la colonna sonora del Casanova di Fellini. I giovani cercano innovazione e in questa colonna sonora Rota inserisce elementi di musica elettronica. Un modo per riscoprire un uomo diverso, differente dall’immagine austera che spesso abbiamo di lui».
Come nasce invece la sua passione per Nino Rota?
«Nasce a Monopoli nel 2004, durante un concerto dedicato a Santa Cecilia (patrona della musica e dei musicisti). Lì, grazie all’esibizione del maestro Benedetto Lupo ho scoperto un Nino Rota che non avevo mai ascoltato, di cui fino ad allora conoscevo soprattutto le colonne sonore. Così poi in America qualche anno più tardi ho potuto riscoprirlo e ascoltarlo e per me, da emigrata, è stato come tornare alla mia terra, perché Rota è stato un pugliese ad honorem».
Rota e la Puglia, come è iniziata questa lunga storia d’amore?
«È un rapporto che nasce per caso, forse per emanciparsi dalla famiglia. Inizia a Taranto dove va a insegnare nel 1937. Poi continua al Piccinni di Bari dove arriva quando ancora quella scuola è un liceo musicale, ma dove per tanti anni, a partire dal 1950, ricoprirà la carica di direttore. Oggi sarebbe normale, perché la Puglia va molto di moda, è amatissima dai milanesi e molti di loro cercano sempre di più di instaurare un rapporto con le bellezze e scoprire i tratti più intimi di questa regione. In questo senso Rota è stato un precursore, questo rapporto di feeling con Bari si instaura molti anni fa, in un periodo storico diverso dal nostro, ed è stato un amore di quelli veri».
Spesso si racconta che molti dei suoi brani più belli e amati siano stati composti proprio a Bari… Addirittura che si confrontasse con gli studenti e il personale della scuola per capire se un brano avrebbe funzionato.
«Sì, componeva le sue opere in direzione a Bari, dove c’era un lettino e il suo pianoforte, che oggi è stato restaurato da Luigi Lamacchia. Lui che pure ha vinto un premio Oscar non era un arrivista, non amava il mondo delle star di Roma, non frequentava troppo quegli ambienti e pur essendo uno dei compositori più famosi del mondo del cinema, guadagnava relativamente poco. Non era un mondano. Il suo amore per la musica era puro. Amava il suo lavoro di preside, partecipava molto alla vita scolastica degli studenti, era molto presente, non una figura lontana e burocratica. E a volte dopo aver scritto qualcosa, chiedeva ai colleghi o anche agli studenti stessi di suonarlo. Ci sono tante testimonianze che concordano su questo. Un atteggiamento direi umile e una gran fortuna per i suoi studenti dell’epoca che potevano essere i primi ad ascoltare o a suonare un capolavoro, come è accaduto alla classe di orchestra quando per il maestro Arturo Benedetti Michelangeli compose Concerto in Do per pianoforte e orchestra».
Effettivamente c’è spesso un pregiudizio su di lui, come di un artista distaccato dalle cose concrete…
«Dipende un po’ da Federico Fellini, che dopo la morte del suo compositore di riferimento (1979), ha scritto su di lui un ritratto famosissimo. Lo ha descritto come un uomo un po’ con la testa tra le nuvole. Credo che l’artista Fellini però abbia rielaborato la figura di Rota in chiave poetica, forse perché era un uomo dal carattere profondamente diverso rispetto al regista della Dolce vita. Era un uomo molto riservato, era meno mondano, per le prime colonne sonore si faceva pagare un po’ poco e questo per Fellini era sintomo di ingenuità. Eppure se pensiamo invece alla sua attenzione per la scuola, al suo lavoro e alla sua capacità di comprendere e tradurre attraverso artifici musicali i sentimenti che il suo amico regista voleva evocare, scopriamo un uomo molto intelligente, molto concreto».
L’Italia ha una “scuola” importante di compositori di musica da film, si può dire che Rota ne è stato un po’ il padre?
«È stato tra i primi e più importanti. Sicuramente lo definirei un punto di riferimento».
Il rapporto con Fellini è stato davvero importante per Rota e ci ha lasciato un’eredità musicale indimenticabile
«È una musica ingannatoria, quindi davvero adatta per accompagnare le pellicole di Fellini. Pensi di ascoltare un tema romantico, ma poi ti scappa da ridere. Stai guardando una scena che dovrebbe essere erotica, come quella dell’incontro tra la Gradisca e il principe in Amarcord, ma la musica ti suggerisce quanto, più che sensuale, questa scena assuma contorni grotteschi. Io non riesco a immaginare i film di Fellini senza la musica di Rota. È una musica ironica, che ci aiuta a scomporre la realtà, a guardarla da più punti di vista».
Dialogando con altri linguaggi artistici questa immagine sembra evocare quel che sulla tela aveva fatto Picasso… Eppure questa sua modernità non è stata colta subito da tutti. Come non amava il mondo delle star, preferendo molto di più l’ambiente scolastico, allo stesso tempo era poco apprezzato dalla critica e molto di più dal grande pubblico…
«Però bisogna stare attenti. Nino Rota era in grado di parlare alle persone pur non essendo per nulla semplice. Studiandolo, ci si rende conto di quanto sia sofisticato, di quanto sia raffinato, pur nella sua accessibilità. Soddisfa sia il pubblico, che lo studioso. Questo è evidente nei suoi Preludi per esempio».
Perché la critica non lo esaltava particolarmente?
«La sua musica era tonale. Un linguaggio musicale al quale siamo educati sin da bambini. Effettivamente noi siamo abituati a una musica basata principalmente su sette note. Se tua madre ti canta la Ninna nanna, se il coro della scuola intona Jingle Bell, se canti Fra Martino o se ti confronti con Mozart, stai ascoltando una musica composta principalmente sulla base di sette suoni. Nel Novecento invece si fa strada la musica dodecafonica. Cioè i musicisti iniziano a venire meno a questa regola delle sette note, cercando di utilizzare nei componimenti tutti i dodici suoni a loro disposizione. La musica atonale appunto. Una musica che però all’orecchio del grande pubblico risulta più complicata, meno accessibile. Ecco che una critica all’epoca un po’ modaiola riteneva Nino Rota non al passo con i tempi, superato. Perché la sua musica era ancora per lo più tonale».
È ancora così?
«Sappiamo che spesso i non contemporanei hanno più libertà di giudizio, quindi ciò che in un determinata epoca è stato oggetto di critiche poco lusinghiere, viene a volte successivamente rivalutato. Oggi possiamo dire che la musica di Nino Rota è invecchiata molto bene e forse molto meglio di brani di altri compositori all’epoca ritenuti più attuali di lui».
Anche perché Rota è stato comunque un grande innovatore…
«Potrei citare ancora una volta per sostenere questa tesi la colonna sonora di Casanova, ma c’è anche il caso interessante di Preludio n. 11. Al minuto 1,06 è possibile trovare un passaggio che anticipa di qualche anno l’effetto “Vertigo”. Cioè ricorda la colonna sonora scritta da Bernard Herrmann per “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock ed evoca quel senso di vertigini su cui si basa la pellicola».
Se volete confrontare i due brani:
Se ora per concludere volessimo proporre ai nostri lettori l’ascolto di un componimento che riassuma un po’ Rota, quale sceglierebbe?
«Propongo assolutamente il Concerto “Soirée” per piano e orchestra».
Abbiamo deciso di proporre come video l’interpretazione della intervistata Sara Giusti.
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