Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
ché il velo è ora ben tanto sottile
certo che ‘l trapassar dentro è leggero
È con una terzina altamente significativa, nel canto VIII del Purgatorio, che Dante ci suggerisce come la capacità di andare oltre alle apparenze sia la chiave per comprendere il messaggio della Commedia (e, più generale, di tutta l’attività letteraria del Poeta). Un suggerimento che, tra i tanti esempi, vale per Federico II di Svevia Stupor Mundi, su cui l’Alighieri esprime un parere complessivamente positivo malgrado la collocazione dell’Imperatore svevo nell’Inferno. Lo stesso vale per una delle figure più note del Poema: Ulisse.
Ulisse tra i consiglieri di frode
Collocato anch’egli tra i dannati, nell’ottava bolgia, ove sono posti i consiglieri fraudolenti, nel canto XXVI dell’Inferno, Ulisse viene presentato da Dante in una versione differente rispetto a quella riportata da Omero nell’Odissea. Secondo l’Alighieri, l’eroe greco, una volta lasciata la terra della maga Circe, non fa infatti rotta verso Itaca, ma decide, con un manipolo di fedelissimi, di oltrepassare le colonne d’Ercole per esplorare terre ancora sconosciute, finendo, tuttavia, per naufragare e morire assieme alla sua ciurma.
E volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 126
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo. 129
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 132
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna. 135
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto. 138
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». 142
Un Ulisse che non fa ritorno a Itaca
Secondo le interpretazioni tradizionali della Commedia, Dante avrebbe di Ulisse una considerazione altamente positiva, tale da portare il Poeta quasi ad elogiare lo spirito avventuriero dell’eroe greco che, tuttavia, porta il personaggio alla morte a poche miglia nautiche dalla montagna del Purgatorio.
Ciò malgrado, se davvero Dante avesse voluto dipingere Ulisse a tinte colorate, non si capisce come mai l’epopea del protagonista dell’Odissea sia stata stravolta a tal punto da non fare terminare il viaggio dell’eroe greco con un lieto fine. Desiderio di conoscenza, simpatia nei confronti di un eroe alla continua ricerca della patria perduta sono infatti temi, assecondati dalle interpretazione canoniche della Commedia, che non sembrano giustificare la licenza poetica con la quale l’Alighieri avrebbe inteso riscrivere la storia del protagonista dell’Odissea.
Un Ulisse anti-eroe
Una spiegazione a tale interrogativo può essere trovata nel fatto che il mancato ritorno a casa di Ulisse nella Commedia sia di natura intenzionale. Tale lettura si pone in piena contraddizione con il tema principale dell’Odissea, interamente basata sui diversi tentativi profusi dall’eroe greco per fare finalmente ritorno ad Itaca una volta terminata la guerra di Troia.
L’intenzionalità del mancato ritorno a casa di Ulisse, che alla ricerca del vento favorevole per tornare ad Itaca preferisce puntare la prua della propria nave verso le colonne d’Ercole, pone l’eroe greco in antitesi rispetto a Dante, che in tutta la Commedia sottolinea quanto il distacco forzato da Firenze sia cagione di dolore e profonda tristezza.
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. 102
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna. 105
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi, 108
acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111
Gli inganni del multiforme
Dante, dunque, decide di non identificarsi con Ulisse. Altresì, leggendo attentamente il canto si può percepire come il Poeta intenda esprimere nei confronti dell’eroe greco un parere fortemente negativo. Ulisse, infatti, è un personaggio che Virgilio, la guida di Dante nell’Inferno e nel Purgatorio e che Alighieri considera il proprio maestro letterario e spirituale, dipinge a più riprese a tinte negative nell’Eneide.
Ideatore del tranello che porta alla distruzione di Troia, l’eroe greco è infatti descritto da Virgilio come architetto di crimini ed ingannatore spregiudicato. Dante sembra condividere l’opinione del suo maestro, e difatti rappresenta Ulisse come un arruffapopolo che, con le sue doti oratore, (sintetizzate dalla celebre orazione: “fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“), convince la sua ciurma a seguirlo in una impresa pericolosa e suicida, atta unicamente ad appagare la sua irrefrenabile curiosità.
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. 120
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123
L’antitesi del viaggio di Ulisse: Enea migrante
A rafforzare tale interpretazione è la citazione che il Poeta fa di Enea, il protagonista dell’Eneide, pochi versi prima del celebre discorso di Ulisse, de facto ponendo i due personaggi in contrapposizione. Da un lato, l’Alighieri dipinge un Ulisse che preferisce il proprio tornaconto personale al ritorno a casa (e quindi al bene dei suoi cari).
Dall’altro, Dante fa menzione di quell’Enea che fugge da Troia non prima di avere preso con se il proprio padre (caricato sulle spalle) e il proprio figlio (preso per mano).
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando 90
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse, 93
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta, 96
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore; 99
Se, a ciò, si somma come Dante ed Enea siano accomunati dalla condivisa impossibilità di non potere fare rientro nella propria città natale, sembra evidente come sia Enea, e non Ulisse, quella figura alla quale il Poeta si identifica e per la quale invita i lettori a simpatizzare. Se, da un lato, Ulisse è un viaggiatore per scelta, Enea, una volta persa la propria dimora, è un migrante per necessità, così come Dante, esiliato politico, si vede costretto ad emigrare da corte a corte nell’Italia settentrionale in cerca di asilo politico e di protezione. Ad un Ulisse calcolatore, spregiudicato ed asservito al proprio interesse personale, Dante, altresì, contrappone un Enea amorevole, positivo, attento ai bisogni della propria famiglia.