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Perù, dalla marea nera di Repsol alla crisi di governo

Non è certamente un buon momento per il Perù. Ancora meno per il suo presidente Pedro Castillo. Dopo il disastro ambientale causato dai due sversamenti di petrolio in mare da parte della compagnia spagnola Repsol, il Paese andino affronta anche la terza crisi di governo, risolta (per ora) con un rimpasto alla presidenza del Consiglio e nella squadra dei ministri. E non sembra finita qui. Anzi.

La marea nera

Lo scorso 15 gennaio il primo incidente nella raffineria La Pampilla, una trentina di chilometri a nord della capitale Lima, sulla costa. Cui ne è seguito un secondo, sempre lì, il 25 gennaio. Quasi 12mila barili di petrolio fuoriusciti in mare, un ecocidio che ha sdegnato il mondo intero. Causando danni alla fauna, alla flora e all’economia peruviana per ora incalcolabili.

Il peggior disastro ecologico degli ultimi tempi, come dichiarato dalle autorità peruviane. A finire sotto accusa è stata la compagnia petrolifera Repsol, proprietaria della raffineria, a cui il governo peruviano ha imposto la sospensione delle attività, finché non verranno date adeguate garanzie in termini di sicurezza. Compagnia che il governo peruviano ha anche denunciato al Consiglio permanente dell’Osa (Organizzazione degli stati americani).

La nave italiana

L’emergenza ambientale è scattata dopo il primo disastro, che ha come protagonista una nave battente bandiera italiana, la Mare Doricum (poi messa sotto sequestro dalla giustizia peruviana). Proprio il capitano della petroliera, l’italiano Giacomo Pisani, ha reso note le dinamiche dell’incidente, svelando le responsabilità della Repsol. Accusata non solo di aver causato l’incidente, ma anche di aver preso sotto gamba la portata dello stesso, tardando negligentemente nel dare l’allarme. Non solo: al di là delle mancanze nelle operazioni di contenimento del liquido nero, il capitano della petroliera Mare Doricum accusa apertamente la società spagnola di aver mentito, nascondendogli la vera entità del disastro e cercando di attribuirgli la responsabilità dello sversamento.

A sostegno di ciò, Pisani ha consegnato alle autorità peruviane alcuni documenti che sono stati rivelati dal quotidiano spagnolo El País. Dai quali emerge lo scontro tra il capitano e la raffineria di proprietà della Repsol, avvenuto dopo l’incidente nel distretto di Ventanilla.

Le misure giudiziarie

Delicato il capitolo sulle responsabilità, penali, civili e amministrative. Al di là delle sanzioni che il governo di Lima sta studiando nei confronti della società spagnola (si parla di 138 milioni di dollari come possibile multa), per ora la concessione non è stata revocata, vista la sospensione delle attività di carico e scarico in attesa delle determinazioni giudiziarie.

La Spagna ha espresso solidarietà e offerto collaborazione sia nelle attività di pulizia delle spiagge peruviane sia in tema di cooperazione giudiziaria. La pubblica accusa peruviana ha chiesto di disporre un divieto di espatrio per 18 mesi nei confronti dei vertici della compagnia Repsol. A partire dal direttore esecutivo Jaime FernándezCuesta, che rientra, insieme ad altri tre alti funzionari di Repsol, tra gli indagati per reati ambientali.

Inizialmente, Repsol aveva attribuito la fuoriuscita di petrolio allo tsunami provocato dall’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga. Una versione smentita dal capitano della Mare Doricum, oltre che dal ministro dell’Ambiente Rubén Ramírez (“Una scusa”), secondo cui il 15 gennaio non si era verificata alcuna anomalia in mare. Allo stesso modo, la compagnia spagnola sostiene di aver disposto tempestivamente tutte le misure necessarie per contenere il danno ambientale, che ha coinvolto 50 chilometri di costa, 21 spiagge tra Callao e Lima e due aree naturali protette.

I danni

La marea nera, che continua a spostarsi verso nord, sta mietendo vittime tra la flora e la fauna del Perù, ricco di biodiversità. E ha raggiunto anche il fiume Coca, uno dei fiumi che servono le comunità indigene amazzoniche in Ecuador.

Danni che potrebbero perdurare per anni, aggravati dai ritardi nell’opera di contenimento del petrolio ma anche dalla qualità del lavoro di bonifica. Repsol ha rinviato di un mese l’obiettivo di fine bonifica: a marzo prevede di aver terminato il lavoro.

Alcune ong, come Oceana Perú, lamentano interventi superficiali nelle operazioni, che non impediscono il riemergere del materiale contaminato all’alzarsi della marea. Senza contare gli allarmi per la tutela della salute del personale assunto da Repsol per pulire le spiagge contaminate, così come quella dei volontari che si stanno dando da fare senza pensarci due volte. Per non parlare dei danni economici: almeno 1500 pescatori hanno perso il lavoro.

La crisi di governo
Pedro Castillo, presidente del Perù

Come se non bastasse, il Perù è alla terza crisi di governo in soli sei mesi. Dopo le dimissioni della premier Mirtha Vásquez, Pedro Castillo ha giurato nuovamente come presidente di fronte al nuovo governo. Che ora sarà presieduto da Héctor Valer Pinto.

Una scelta davvero emblematica, perché Valer Pinto è sempre stato di destra. E non moderata. Se i predecessori, Guido Bellido di Perù Libre e Mirtha Vásquez del Frente Amplio provenivano da forze politiche di sinistra, infatti, Valer ha tutt’altra storia.

Eletto al Parlamento con Rinnovamento Popolare, il partito di estrema destra del milionario Rafael López Aliaga (il pilastro del Forum di Madrid dei franchisti di Vox de España), in sei mesi è diventato l’unico parlamentare ad essere passato per tre gruppi (Renovación Popular, poi Somos Perú e infine Perù Democratico). Al ballottaggio tra Castillo e Keiko Fujimori, la figlia dell’ex dittatore di destra, Valer si è schierato per quest’ultima.

Ma la permanenza di Valer alla guida del governo è già in discussione: non è escluso un nuovo cambio in corsa. Un compromesso a denti stretti, quello di Castillo, per provare a cambiare il Perù. Funzionerà?

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