L’Italia ha imitato la Repubblica Ceca, la Danimarca e la Grecia, le uniche nazionali campioni d’Europa che hanno fallito la qualificazione ai successivi mondiali. Squadre di medio livello, che vinsero quelle edizioni non perché più forti, bensì sfruttando quel classico mese in cui ti riesce tutto. Pagando profumatamente gli interessi nell’appuntamento successivo. Come la favola Leicester, campione della Premier 2016 da assoluto ‘underdog’, poi risucchiato nell’oblio. Come gli azzurri la scorsa estate. Perché questo, purtroppo, è ciò che siamo diventati. Una Nazionale di medio livello, o poco sopra. Che ha vissuto un bellissimo, e forse irripetibile, exploit, suggellato dall’Euro e dal record di 37 gare senza sconfitte. Ma che adesso si trova alla frutta. Dopotutto, ci ha eliminati la Macedonia (del Nord).
Macedonia, la nostra nemesi
Così non fosse, non avremmo mancato la qualificazione al secondo mondiale di fila, dopo l’incubo Svezia del 2017, come mai era successo in un secolo di storia. Addirittura in una semifinale playoff, contro una nazionale tutt’altro che speciale come quella macedone, la numero 67 nel ranking FIFA, specchio di una nazione di appena due milioni di abitanti. La nostra nemesi: molto più debole di noi, ma capace di vincere alla nostra storica maniera, catenaccio e contropiede. Difesa strenua, ordine. Un tiro, un gol. Proprio quella Macedonia, che un anno fa espugnò Duisburg nelle qualificazioni (2-1 alla Germania). E che già nel 2017, nel girone verso Russia 2018, contribuì a spingerci agli spareggi maledetti con gli svedesi (finì 1-1 a Torino). Segnò sempre Trajkovski. Ripetutosi cinque anni dopo al ‘Barbera’ di Palermo, l’unica squadra italiana in cui ha giocato nella sua carriera (ora milita in Arabia, nell’Al-Fayha…), con un gol dal peso specifico infinitamente superiore. Un Pak Doo Ik contemporaneo, insomma. O, ancor meglio, un Ahn Jung-Hwan (il sudcoreano che giocò a Perugia). Beffa che si aggiunge a beffa. Oltretutto, questo ko ha interrotto la nostra striscia ‘eterna’ di imbattibilità nelle partite casalinghe di qualificazioni ai Mondiali (58 gare totali senza sconfitte dal 1950), che condividevamo con la Spagna.
Un fallimento specchio del nostro calcio
E, probabilmente, fosse strutturalmente il nostro calcio al top, come lo è stato per decenni, esprimeremmo un nucleo di squadre di club competitive anche in Europa. Invece non vinciamo oltre i nostri confini dai tempi dell’Inter del Triplete. Nella Champions di quest’anno nessuna delle nostre ha oltrepassato le colonne d’ercole degli ottavi di finale. La Serie A è sempre più zeppa di stranieri, i club sono finanziariamente alla canna del gas (tranne qualche eccezione) e i giovani, al di là di qualche sporadico segnale, vengono lanciati col contagocce. Soliti problemi, urlati da anni, che il grande trionfo all’Euro aveva nascosto sotto il tappeto. «I ragazzi sono sempre confinati in panchina nei momenti clou della stagione – l’ennesimo campanello d’allarme, lanciato stavolta dal ct dell’Under 21 Nicolato – in attacco non gioca più nessuno. Sono preoccupato. Di questo passo, dovremo pescare dalla C o trovare oriundi».
Mancini cambi qualcosa, ma deve restare
Giusto non farci prendere eccessivamente dall’emotività, però. Gli azzurri restano campioni d’Europa e il Rinascimento impostato da Mancini non può essere disperso. Sempre che, come nessuno si augura, il Mancio ci ripensi – divorato dalla delusione («la più grande della mia carriera, troppo presto per parlare di futuro»), ha detto nel post-gara – e ritorni ad allenare in un club. Ventuno spera di no. Ma il commissario tecnico, qualora restasse (l’ombra di Cannavaro già aleggia, in caso di dimissioni), qualcosa dovrà cambiare nel gioco, asfittico e privo di nerbo, ritmo e di soluzioni in attacco. Urge un profondo restyling al suo 4-3-3, ormai prevedibile per tanti avversari, specie quelli che si chiudono. Eppure anche così l’Italia è diventata campione d’Europa.
Dal paradiso all’inferno, tutti i motivi
Certo, allora avevamo un’altra intensità, un altro entusiasmo. Senza paura, senza niente da perdere. Tutto, invece, si è ribaltato qualche mese dopo. La magia di Wembley, poco a poco, ha lasciato spazio alla paura di mancare il secondo mondiale, col peso di vivere questo rischio da campioni d’Europa. Le magagne sono emerse. Immobile in azzurro ha continuato ad essere un fantasma, inadatto al gioco di Mancini. Non è mancata un po’ di cattiva sorte, certo, a compensare la buona stella che ci ha accompagnati tra il giugno e il luglio 2021. Vedi il grave infortunio di Chiesa, l’unico giocatore dotato di quegli strappi spacca-difese che in Europa servono come il pane. Avessimo avuto lo Spinazzola degli Europei, poi…
Senza dimenticare il calendario, reso affollato dal Covid. Neppure due mesi dopo l’Euro, a pancia abbondantemente piena, abbiamo dovuto affrontare un girone di qualificazione con poche gare, solo 8, al cospetto di un avversario numero uno ostico come la Svizzera. Contro la quale Jorginho ha fallito due rigori. Troppo. E lo 0-0 novembrino di Belfast, in Irlanda del Nord, ha rappresentato il presagio di quanto vissuto con la Macedonia. Predomini sterili, ansiogeni. Una consolazione, un raggio di luce? I prossimi Europei saranno ‘solo’ tra tre anni, Germania 2024. Difficilmente non ci qualificheremo, visto che si qualificano 24 squadre sulle 54 affiliate all’Uefa. Quasi la metà. E probabilmente andremo anche ai Mondiali 2026: la FIFA, visti gli imprevisti nelle qualificazioni che ‘uccidono’ nazionali blasonate, allargherà da 32 a 48 le squadre alla fase finale. Ma dal Paradiso di Wembley all’Inferno di Palermo ci siamo finiti comunque. E, stavolta, non riemergeremo tanto facilmente.
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