Lunedì 4 luglio la versione definitiva della nuova Costituzione cilena è stata consegnata nelle mani del presidente Gabriel Boric, che ha immediatamente indetto il referendum: per entrare in vigore, infatti, il nuovo testo dovrà essere approvato con voto obbligatorio il prossimo 4 settembre.
Una storia che parte dal 1973
Per poter capire l’importanza di questo momento che avviene in un paese così lontano dal nostro, è necessario ritornare al lontano 1973. Permettetemi perciò di riassumere le ragioni di questa contingenza che non si limita al Cile, ma ci tocca molto da vicino. In quell’anno un sanguinario colpo di stato ha portato alla morte Salvador Allende, il presidente che aveva istallato, per la prima volta in tutto il mondo, un governo socialista eletto democraticamente, che ha sollevato le paure di tutti i poteri forti che si opponevano alle democrazie socialiste, Stati Uniti in testa. Nella caduta di Allende, Nixon e Kissinger hanno giocato un ruolo chiave: se quel governo avesse avuto successo, molti altri avrebbero potuto succedergli. In Italia, Allende ed i fatti che si sono susseguiti al suo insediamento nel 1971, venivano costantemente osservati, ma le stigmate dell’Unione Sovietica comunista dividevano e insanguinavano la società. Enrico Berlinguer, osservando la polarizzazione sociale ed anche distanziandosi da Mosca, nel 1973 immediatamente dopo il colpo di stato in Cile, inizia il cammino del “compromesso storico” che arriva al suo culmine con la famosa stretta di mano con Aldo Moro nel ’77, certo una delle cause della morte dello statista e politico DC dopo il lungo sequestro ad opera delle Brigate Rosse. Gero Grassi, nel suo instancabile lavoro per portare alla luce le ragioni dell’omicidio Moro, ci ha raccontato come fosse stato minacciato dallo stesso Kissinger durante un viaggio a Washington. Per i lettori più giovani è forse bene anche spiegare che il compromesso storico avrebbe significato un’alternanza di governo tra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista, in quel periodo la seconda forza politica italiana.
La Scuola di Chicago
La morte di Allende ha praticamente chiuso la porta del sogno socialista democratico in moltissimi paesi del mondo, dando il via, con il terrore, allo smantellamento del sistema produttivo cileno per aprire il cammino ad un’economia di capitale ed a quello che oggi conosciamo come il neoliberalismo della scuola dei Chicago Boys di Milton Friedman, che si è poi impadronita del mondo intero. In Cile, l’ultima decade prima del ’73, aveva significato un cambio della matrice economico/sociale. Da paese i cui ingressi erano meramente basati sull’estrazione e vendita di materie prime in mano a poche famiglie, a un paese con un’anima produttiva ad uso interno (sostitutiva dell’importazione): si fabbricavano dagli elettrodomestici alle automobili. Durante il periodo della Unidad Popular di Allende, il mondo operaio e agricolo stava acquisendo forza, coscienza e dignità anche se, purtroppo, non si è trattato solo di cose positive. Nel vasto territorio cileno, anche piccoli proprietari sono stati vittime di espropriazioni purtroppo troppo spesso originate non da ragioni amministrative ma da vendette o discriminazioni, contribuendo ad infiammare il clima di forte conflitto con la opposta tendenza conservatrice, in un momento in cui la rivoluzione cubana stava polarizzando il mondo.
L’esperimento neoliberista
In Cile, il famoso sciopero dei camionisti (sovvenzionato dagli USA) che ha letteralmente affamato una buona parte del paese, la sparizione degli alimenti (ricomparsi come per magia il giorno successivo al “golpe”), attentati e proteste sapientemente amministrati da un uso manipolatorio della stampa, hanno fatto sì che fosse addirittura una parte dello stesso popolo cileno di classe media a chiedere ad alta voce la fine del governo socialista del presidente Allende.
Dal 11 settembre 1973, con la dottrina dello shock ampiamente adottata in Cile, si è dato il via all’esperimento neoliberale latino-americano che si è poi diffuso in tutto il mondo e che ha successivamente smantellato le linee produttive dei paesi occidentali (spostate in regioni senza troppe garanzie per i lavoratori) istallando al loro posto economie di capitale, sotto la costante minaccia della perdita dell’investimento delle grandi finanziarie di capitale senza sede nè patria (leggi anche Cile, 11 settembre 1973: democrazia in frantumi).
La rivolta cilena del 2019
Nel 2019, in Cile, a 46 anni dal colpo di stato e a 30 anni dal ritorno della democrazia – che se da un lato ha effettivamente sollevato il paese dalla povertà, permettendo addirittura il suo ingresso tra i paesi della OCDE, dall’altro ha consolidato un modello economico basato sulla sussidiarietà dello stato stabilita dalla Costituzione promulgata in dittatura – quello stesso popolo ha detto basta. Il 18 e 19 di ottobre, con le proteste oramai note con il nome di “estallido social”, milioni di persone sono scese per strada e solo la promessa di una Nuova Costituzione poteva ricondurre il paese alla pace sociale. Promessa mantenuta, nel paradosso di uno stato nelle cui storia convivono regole democratiche ferree ed una delle dittature più sanguinose della storia (leggi anche Cile, genesi e protagonisti di un cambiamento).
Sussidiarietà: uno Stato ai margini
Perché si possa capire meglio la portata di quello che entra in gioco il 4 di settembre, giorno del referendum nel lontano Cile, è forse anche necessario spiegare che il principio di sussidiarietà costituzionale dello Stato significa che questi interviene solo e quando il sistema privato non può operare. Esattamente la sussidiarietà ha messo nelle mani dei privati non solo le pensioni (veramente da fame per la maggioranza dei cileni), salute ed istruzione, servizi basilari per uno sviluppo armonico di una società, ma anche i secondari, a partire dai trasporti. Le risorse del sottosuolo cileno sono state regalate a multinazionali estrattive, il mercato del lavoro è stato deregolato, i prezzi – non regolati – sono lasciati nelle mani dei cartelli (troppo poche volte scoperti), il costo del credito è stato portato quasi a livelli di usura, ma si è aperto alla fine al consumo sfrenato (c’era chi pagava in “comode quote” anche la spesa del supermercato), grazie al quale il popolo cileno si è illuso per oltre un decennio di aver superato la povertà, comprando tutti i possibili simboli del consumo, ma finendo anche indebitato fino al collo per pagare gli studi ai figli o la agognata prima casa.
Le precedenti modifiche
In verità, senza mai cambiare le parti più sostanziali, la Costituzione è stata modificata 52 volte.
Già nel 2005, il presidente Riccardo Lagos, con una versione che porta la sua firma, aveva dato il via ad una serie di riforme a quella dell’80 (vigente e formulata in dittatura) che non erano però risultate sufficienti a smantellare quel sistema legale.
Durante il secondo mandato di Michelle Bachelet si era anche fatto un primo tentativo per istallare un’assemblea costituente, naufragato con l’elezione di Sebastián Piñera, anche lui al suo secondo mandato. Tuttavia, con l’estallido social la destra cilena ha capito che doveva cambiare tattica.
L’Assemblea Costituente
Una volta concesso il referendum per la creazione dell’Assemblea Costituente, contando nella usuale bassa partecipazione elettorale, le sue figure più insigni si sono iscritte nelle liste per scrivere la nuova carta magna sperando di poterla redigere da una visione conservatrice. Il risultato delle urne ha significato un’altra doccia fredda: un’altissima partecipazione elettorale ha eletto una maggioranza di cittadini e accademici indipendenti, esperti costituzionalisti e rappresentanti dei popoli ancestrali cileni, che sono stati particolarmente danneggiati o spazzati via non solo dagli anni coloniali ma anche dalla stessa dittatura. La destra non è arrivata a un terzo degli eletti, mentre secondo la regola di parità tra uomini e donne, sono state le candidate elette che hanno dovuto cedere alcuni posti a figure maschili (leggi anche Cile, schiaffo al neoliberismo. «Vittoria del popolo»).
Per la prima volta, la destra si è trovata così a reclamare diritti delle minoranze, denunciando una supposta mancanza di regole democratiche, non essendo applicabili, nello spazio dell’Assemblea, le garanzie costituzionali che le hanno permesso di fare ostruzionismo nel Congresso. Non essendo in grado di influire completamente sulle decisioni di una maggioranza fortemente di sinistra, non ha smesso di chiamare allo scandalo ed al disfattismo.
Nonostante i dubbi, la Costituente è riuscita a stare nei tempi con sedute maratoniche, ha superato scivoloni d’etichetta, errori nella comunicazione e crisi importanti (come quando, per esempio, si è scoperto che uno dei costituenti si dichiarava malato di un cancro inesistente). Errori che hanno però anche messo in luce che gli eletti, che con la consegna del testo hanno concluso il loro lavoro, erano in larga maggioranza persone genuine, e non politici di professione, che si sono onestamente impegnate per creare le regole che, se approvate, porteranno a un paese più giusto.
Il gioco della destra
A questo punto, la destra e quelli che vedono nel testo la perdita del loro potere si sono scatenati. La polarizzazione è massima ed il rischio è grande. La ragione sta nel fatto che il voto plebiscitario che approverà, o no, la Nuova Costituzione sarà obbligatorio e la portata di questa obbligatorietà si può riassumere nel fatto che anche in Cile, una democrazia “matura” citando Norberto Bobbio, solo circa il 50% degli aventi diritto vota volontariamente e regolarmente. Non c’è perciò nessuna possibilità di prevedere come voterà l’altro 50% che si vedrà obbligato a farlo. Le due fazioni si vedono costrette a convincere quell’area grigia, sconosciuta alle statistiche.
Lunedì 4 luglio, la versione definitiva del testo della Nuova Costituzione è stata consegnata nelle mani del presidente Boric che ha ufficialmente indetto il referendum (leggi anche Cile, la vittoria di Boric è un’altra tappa verso il riscatto dell’America Latina).
Il clima che si respira è complesso, le fake news e le manipolazioni si moltiplicano. Si gioca soprattutto sull’ambiguità. L’ultima: alcuni attori a favore dell’approvazione sono stati convocati in un video che si è poi saputo essere per il “rechazo” (la non approvazione). Alcune settimane fa si è saputo che circolava una versione falsa del testo della Nuova Costituzione. Per strada si trovano poster con simboli popolari, generalmente associati all’approvazione, che denunciano il “tradimento” delle aspettative.
Le novità
La verità è che il testo costituzionale proposto, di 11 capitoli e 388 articoli, riflette la variegata struttura identitaria, territoriale e culturale del paese e corrisponde a quello di una costituzione di uno stato democratico con le particolarità necessarie all’adattamento. In sua difesa si sono schierati addirittura vari analisti internazionali.
Un testo equilibrato, che abolirà, ma senza esagerare, i privilegi assoluti dei grandi poteri corporativi gestiti e delle famiglie cilene che si sono spartite il bottino nazionale per molti anni, che riconosce alle donne lo spazio politico e sociale che si merita la metà del genere umano e che restituirà protagonismo ai popoli quasi decimati a partire dalle conquiste coloniali.
Il cui primo articolo, in sintesi, dichiara che il Cile è uno stato repubblicano e democratico, plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico, dove si istalla la eguaglianza tra gli esseri umani e la loro indissolubile relazione con la natura.
Clima teso
Sono molti quelli che avrebbero preferito un testo di principi fondamentali, più vicino alla “Costituzione viva” dell’America del Nord, tuttavia la memoria dei soprusi ha fatto sì che i costituenti si siano inclinati alla descrizione di tutti i dettagli giudicati fondamentali per questo nuovo patto di convivenza.
Eppure, la campagna per il rechazo sta pronosticando il caos e una catastrofe nazionale. Anche The Economist si è schierato, titolando esplicitamente: “Gli elettori dovrebbero respingere la nuova bozza di Costituzione del Cile”.
Ovviamente i poteri fattivi, da troppi anni abituati a governare il Cile senza neppure nascondersi tanto, dopo decadi di lucro sull’istruzione, sulle pensioni e sulla salute, con irrisorie leggi di protezione dei lavoratori, non gradiscono una Costituzione basata sui diritti fondamentali.
Ma dividono anche il paese, l’inclusione in questi diritti delle minoranze sessuali ed il riconoscimento definitivo dei popoli ancestrali sotto il concetto di nazioni con diritti propri, residenti in un paese con un unico confine. La Democrazia Cristiana inizialmente in massa per l’approvazione ora si è divisa. Alcuni dei suoi rappresentanti, senatori (in un Senato che la Nuova Costituzione sostituisce con una Camera Regionale) sono parte degli “Amarillos* por Chile” (Gialli*), che si chiamano fuori dal gioco con una pretesa “obbiettività” che pende verso il no rotondo. Si propongono di evitare la “rifondazione del paese a partir da 0”, chiamano a “non approvare per riformare”, che è una contraddizione in termini.
Se non approvata, infatti, è molto probabile che la destra che ha ottenuto un numero importante di scranni nel congresso si opporrà duramente ad un nuovo referendum e, secondo la Costituzione vigente solo un referendum può chiamare a formare una nuova Costituente, con il rischio di entrare in un circolo vizioso che, semplicemente, manterrebbe lo status quo.
Il significato simbolico
Tale è l’importanza del momento che, durante la cerimonia nella quale ha ricevuto il testo, il presidente Boric ha ricordato Eduardo Frei-Montalva, il presidente assassinato in dittatura proprio per aver chiamato a formare un’assemblea costituente.
Quello che è certo è che, in Cile, è nato il modello capitalista che nei paesi occidentali ha permesso ai grandi ricchi – il famoso 1% – ed al loro ristretto seguito di diventare ancora enormemente più ricchi. Ne va perciò che l’approvazione della Nuova Costituzione cilena avrebbe un significato simbolico che supera i confini del paese.
Sarebbe una vittoria per l’eguaglianza, la dignità e la solidarietà dei cittadini di tutto il mondo.