Etiopia, il Tigray ancora in fiamme
Riprende la guerra nel Tigray, la regione nel nord dell’Etiopia, sconvolta dal conflitto scoppiato nel novembre 2020. “Le forze etiopi, insieme alle forze speciali e alle milizie Amhara, hanno iniziato un attacco su larga scala intorno alle 5 (la data è il 24 agosto, ndr) in direzione di Alamata, nel Tigray meridionale” afferma un comunicato delle forze tigrine.
Accuse respinte dal governo etiope, che, confermando la ripresa dei bombardamenti, ha però affermato che sono stati i tigrini ad attaccare. “Ignorando le numerose offerte di pace presentate dal governo etiope, le forze ribelli del Tigray hanno lanciato un attacco oggi alle 5 in un’area situata nel sud del Tigray, rompendo la tregua” afferma la nota di Addis Abeba.
Il 23 agosto l’esercito federale etiope aveva accusato le forze tigrine di propagare notizie false, accusando i tigrini di prepararsi ad attaccare le posizioni etiopiche.
I combattimenti interrompono la tregua decisa a fine marzo e finora rispettata. Dopo due anni di guerra, che ha causato oltre 500mila morti e migliaia di feriti, milioni di sfollati interni e oltre 70mila all’estero; che ha provocato una crisi umanitaria senza precedenti, mettendo a rischio sicurezza alimentare milioni di persone in tutto il nord del paese (regioni di Ahmara e Afar comprese), un’uscita politica e diplomatica dal conflitto si allontana ancora una volta.
Ciò che è chiaro è che la mediazione dell’Unione Africana e della comunità internazionale non ha sortito alcune effetto tra le parti in causa. Ancora una volta, l’arrivo degli aiuti umanitari e la ripresa dei servizi essenziali nella regione passano in secondo piano. La guerra si riprende il palcoscenico. E la gente muore.
Il Comitato norvegese del Premio Nobel per la pace ha rilasciato tempo fa una dichiarazione inusuale: ha chiesto al vincitore nel 2019 del Nobel, il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, di porre fine alla guerra da lui stesso dichiarata nella provincia settentrionale del Tigray il 5 novembre. Il Comitato ha reagito con profonda preoccupazione per lo scoppio del conflitto nel Paese africano e ha affermato che è responsabilità di tutte le parti coinvolte porre fine all’escalation di violenza, risolvendo disaccordi e conflitti con mezzi pacifici.