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Cop27: la crisi climatica tra malcontento e repressione

Grande è stata l’attesa per l’appuntamento internazionale della Cop27 tenutasi a Sharm El Sheikh (Egitto). Attesa esauritasi con un malcontento generale, sia da parte dell’Onu e del suo Segretario generale Antonio Guterres, sia da parte delle organizzazioni internazionali, le ong, i movimenti internazionali per la giustizia climatica e le nazioni maggiormente colpite dalla crisi climatica.

Il clima di Al-Sisi in Egitto

La Cop27 fa il suo ingresso in campo con tutte le critiche del caso, delineate per lo più dalla repressione messa in atto del governo egiziano di Al-Sisi. L’amministrazione dell’attuale presidente ha limitato le manifestazioni durante il vertice sul clima. Il governo ha minacciato con multe e arresti i manifestanti, che per ottenere l’autorizzazione a svolgere una protesta in un luogo isolato nel deserto, separato dalla conferenza, devono registrarsi. “Si può protestare solo in un’area lontana dalla Cop, solo dalle 10 alle 17 e si devono informare le autorità con 36 ore di anticipo. La manifestazione deve essere legata al clima”, riporta Hussein Baoumi, ricercatore di Amnesty International Egitto e Libia.

“Cooperare o morire”

Il discorso introduttivo di Guterres fa capire subito l’importanza della Cop27. In un estratto egli afferma “il tempo stringe, siamo in lotta per la nostra vita e stiamo perdendo. L’umanità ha una scelta: cooperare o morire. È un patto di solidarietà climatica o un patto di suicidio collettivo”. Bisogna ripensare dunque il discorso climatico in un’ottica di cooperazione globale ed è proprio in virtù di questa che una delegazione del Bangladesh (uno dei paesi più colpiti dalla crisi climatica) ha portato all’interno dell’assemblea una proposta consistente in una votazione democratica a maggioranza (a differenza del sistema unanime in vigore) in modo tale da permettere ai paesi più colpiti dalla crisi di avere voce in capitolo. La proposta è stata bocciata e ciò non solo rallenterà il processo decisionale, ma permetterà anche il mantenimento di un’asimmetria decisionale all’interno del discorso istituzionale in merito alla crisi climatica.

Le reazioni

Aspra critica è stata fatta in merito al “discorso mancato” sull’alimentazione. Sappiamo dopo anni di ricerca che il sistema alimentare corrente non è sostenibile ma nonostante ciò, all’interno del dibattito tenuto alla Cop27, il punto non è stato trattato. Vi è stata un’azione di volantinaggio portata avanti da Reboot Food per evidenziare la mancanza di regolamentazioni sul tema. Sui combustibili fossili, si mantiene la blanda formulazione di Glasgow: riduzione del carbone (non di tutti come chiesto dall’India) e semplice eliminazione graduale dei sussidi «inefficienti». Indignazione delle realtà ambientaliste e per la giustizia climatica. Extinction Rebellion (movimento sociale internazionale per la giustizia climatica) afferma sulle proprie pagine social che nessuna delle 26 Cop precedenti ha mai prodotto soluzioni efficaci contro la crisi climatica e anche questa sembra andare per la medesima strada.

L’unico aspetto positivo è stata l’istituzione del fondo per le perdite e i danni causati dalla crisi climatica mirato esclusivamente ai paesi più vulnerabili (come voluto dalla stessa Ue). Questo fondo dà speranza ai popoli più vulnerabili, permetterà loro di ottenere aiuto adeguato per riprendersi dai disastri climatici e ricostruire la loro vita. Certo, non è molto, ma è qualcosa.