L’Italia e la capanna dello zio Tom all’orizzonte

Scrive l’Ocse per il secondo anno consecutivo nel suo Employment Outlook 2024: “L’Italia è il Paese in cui gli stipendi dei lavoratori, di fronte all’inflazione, hanno perso maggiore potere d’acquisto. Nei primi tre mesi dell’anno i salari reali erano ancora più bassi – del 6,9% – rispetto a prima della pandemia”.

Poi, sempre l’Ocse conferma una cantilena dell’attuale governo: “Il mercato del lavoro italiano ha raggiunto livelli record di occupazione e livelli minimi di disoccupazione e inattività”.

Come possono stare assieme queste due affermazioni apparentemente contraddittorie? In realtà la contraddizione è – appunto – solo apparente e la coincidenza tra crescita dell’occupazione e salari reali sempre più bassi è perfettamente spiegabile.

Economia delle piantagioni

I salari sempre più bassi spingono le aziende italiane, anche quelle piccole, ad aumentare le assunzioni, perché aumentare la manodopera è più economico che fare degli investimenti in macchinari, tecnologie, ricerca e sviluppo. Lo chiamo “Effetto piantagione”.

– Per secoli nel continente americano costava di meno importare schiavi che industrializzare la raccolta o la semina. Poi arrivarono la guerra civile statunitense e le diverse espressioni di consolidamento degli Stati nazionali da considerare nei cent’anni di solitudine latinoamericani. In qualche caso, la schiavitù perdurò fino alla fine dell’800.

– In Gran Bretagna, al netto delle colonie, ancora nel ‘800 costava di meno impiegare bambini semischiavi che far lavorare degli operai. Poi arrivarono Sandokan, Yánez, i fabiani, le rivolte cinesi, le due guerre…

– In Italia, fino agli anni ’60 del secolo scorso, il modo più economico per avere il carbone per l’industria passava per spedire lavoratori semi-schiavi a Charleroi, nel Belgio. Stabilivano gli accordi i governi di Roma e Bruxelles: “Tanti minatori alla settimana, tanto carbone all’anno”. Poi arrivò Marcinelle.

– In Sudafrica, fino all’inizio degli anni ’90, costavano di meno i minatori schiavi dei lavoratori salariati. Il primo ad accorgersi che così soffrivano i diamanti furono i padroni dei diamanti. Poi arrivò Mandela.

– Nel Congo, per estrarre il coltan necessario alla nostra industria tecnologica, costano di meno i bambini che estraggono il minerale con le mani di qualsiasi manodopera adulta o di qualunque macchinario. Per ora, i morti si accatastano seguendo le vecchie tradizioni leopoldine. Mi auguro arrivi presto un vendicatore. Da congolese, sarà ovviamente nero, ma temo che non giocherà a calcio.

Ho parlato di “economia delle piantagioni”, non di “economia schiavistica”. La modernità fa sì che, oggi, non siano nemmeno schiavi. Ergo, che non ci si debba preoccupare nemmeno della loro sussistenza. Anzi, in qualche caso, diciamo Latina ed altri caporalati a caso, non ci si deve nemmeno preoccupare che conservino le braccia. Succede poiché per gli “umani usa e getta” le braccia sono prescindibili.

Settori a confronto

Resta da chiarire un altro aspetto: in Italia i salari non sono bassi per tutti. Lo sono in media, ma se si guarda più da vicino, non è così per tutti. In questi anni di deprezzamento salariale ed umano ci sono stipendi che sono cresciuti o, meglio, che hanno più o meno tenuto il ritmo dell’inflazione. Altri sono rimasti fermi, ed i lavoratori si sono via via impoveriti. Definisco questa ultima categoria come quella dei “lavoratori in transizione verso la capanna dello zio Tom”.

Secondo me, se la Triplice sindacale ne aprisse l’iscrizione, senza infingimenti, il loro numero supererebbe la categoria oggi regina, quella dei pensionati. Naturalmente, molti tra questi pensionati potrebbero avere i requisiti per transitare verso le amorevoli e capienti braccia dello zio Tom.

Molto dipende dal settore in cui si lavora. Quando si parla dei salari bassi in Italia bisogna distinguere tra i salari dei servizi e del pubblico impiego ed i salari dell’industria.

Tra il 2001 e il 2023, gli stipendi sono aumentati del 75% nell’industria, del 45% nella pubblica amministrazione e nei servizi. Trenta punti in meno non sono una bazzecola.

Sempre l’Ocse racconta che, negli ultimi tre anni, l’aumento dei salari nell’industria tedesca e francese è simile a quello dell’industria italiana, mentre nella pubblica amministrazione e nei servizi l’aumento dei salari francesi e tedeschi è molto maggiore.

Limitiamoci all’esempio degli insegnanti. Secondo l’ultimo rapporto della rete Eurydice – nata nel 1980 su iniziativa della Commissione europea a sostegno della cooperazione europea nel campo dell’apprendimento permanente – la retribuzione annuale lorda di un docente italiano è di circa 24mila euro. Quella di un docente francese è di 28mila euro. Quella di un docente tedesco di 54mila euro. Diventare tutti amanti dei crauti? Temo che, come accadde con la merda di una nota barzelletta, i crauti non basterebbero per tutti. E nemmeno le viennesi.

Circa venti anni fa, la Regione dell’Umbria mi incaricò per un piccolo studio sui salari europei in una decina di settori industriali e dei servizi. Le tendenze identificate erano già allora le stesse suindicate ma, in genere, i salari italiani erano al quartultimo posto in Europa, non all’ultimo in molti settori. Da allora, è onesto ricordarlo, in Italia non ha governato solo il centrodestra.

Comunque, la conclusione è che i bassi salari italiani dipendono soprattutto dalla crescita dei servizi in attività poco qualificate e dalla dinamica pluridecennalmente stagnante dei salari del settore pubblico. La media generale, sempre più bassa, dipende soprattutto da questo. Oso pensare che Luigi Pirandello ed Eugène Ionesco potrebbero immaginare forme e contenuti di una ribellione dei travet.