Marta Collot: «Governo Meloni? Forte coi deboli e debole coi forti. Ora avanti con Unione popolare»
«Questo modello di sviluppo non è solo sbagliato, proprio non funziona». Parola di Marta Collot, portavoce di Potere al popolo (in tandem con Giuliano Granato) e tra i volti di riferimento di Unione popolare, nuovo soggetto politico in costruzione. Dall’opposizione netta – al governo Meloni e alla guerra – nasce l’esigenza di proseguire il tentativo partorito la scorsa estate, mettendo insieme Rifondazione comunista, Potere al popolo, DeMa e Manifesta. Di questo complesso percorso – e non solo – ha parlato Ventuno, che ha incontrato Collot al Barnaut, quartier generale di Potere al popolo alla Bolognina, quartiere popolare dietro la stazione di Bologna, dove vive.
Ventinove anni, veneta di Treviso, Marta Collot è stata candidata per Unione popolare alle Politiche dello scorso 25 settembre, quando la lista guidata da Luigi de Magistris si è fermata all’1,43% alla Camera, raccogliendo circa 400mila voti a livello nazionale. «Ma non è un cartello elettorale, ora vogliamo continuare questo percorso», spiega lei, di ritorno da un picchetto antisfratto all’alba sotto la neve e da una giornata di lavoro («sto imparando a fare la falegnama»). Non ha problemi a definirsi comunista, ma crede nella necessità di allargare il fronte comune non solo a livello politico, ma anche sociale.
Partiamo dall’assemblea pubblica di Unione popolare, che si è tenuta a Roma lo scorso 4 dicembre. Com’è andata? Cosa si è deciso?
«Innanzitutto va detto che il percorso era partito il 9 luglio con un’assemblea, sempre a Roma, aperta alle figure sociali e di lotta nel Paese. Le elezioni anticipate hanno un po’ bloccato questo processo: in dieci giorni abbiamo dovuto raccogliere le firme e il risultato del voto, per quanto non esaltante, ha lasciato comunque entusiasmo e voglia di continuare. Unione popolare non è un cartello elettorale estemporaneo, punta a ricostruire un campo largo, a partire soprattutto dall’opposizione vera alla guerra: siamo contrari all’invio di armi, alle sanzioni e all’aumento delle spese militari. Siamo per una soluzione diplomatica».
Arriviamo all’assemblea del 4 dicembre.
«È stata confermata la volontà di continuare questo percorso, per il quale ci siamo dati delle tappe costituenti. Nel corso dell’assemblea ci sono stati tavoli di lavoro su vari temi: guerra – la nostra linea è di contrarietà alla Nato, per il suo scioglimento e per la fuoriuscita dell’Italia – ambiente, lavoro, diritti e democrazia, compresa la questione femminile».
Un commento sul governo Meloni?
«Se è al governo la causa fondamentale è stato il governo Draghi, sostenuto da quasi tutto l’arco parlamentare, che le ha consentito di fare una finta opposizione. Ora vediamo la continuità rispetto all’agenda Draghi, in particolare sui due pilastri fondamentali: l’euro-atlantismo e i vincoli interni di bilancio, che non vengono minimamente sforati. Inoltre sul piano dei diritti civili e della democrazia vedremo sicuramente una situazione complicata, che si inserisce in un contesto di smantellamento della democrazia degli ultimi 20 anni. Il volto feroce del fascismo lo stiamo già vedendo, come ad esempio le cariche agli studenti della Sapienza proprio il giorno dell’insediamento del governo, le dichiarazioni sugli sbarchi in mare dei migranti o il decreto anti-rave».
Alcuni provvedimenti già veicolano dei messaggi chiari, a livello simbolico, sull’idea di società di questo governo. E alcuni di questi, come lo smantellamento del reddito di cittadinanza, non sono nemmeno troppo simbolici, quanto molto concreti…
«Certo. Quello è un attacco alla povertà e serve anche per trovare un capro espiatorio, in una situazione di crisi nella quale nulla è stato messo in campo per aiutare davvero le famiglie, i piccoli imprenditori e i lavoratori precari. Si attaccano le pensioni, perché le briciole vengono fatte passare per aumento delle minime e si mettono in contrapposizione le donne che hanno figli con quelle che non ne hanno. Questa manovra, anche rispetto al caro bollette, è chiaramente insufficiente e non va a toccare i poteri forti. Anzi, pur avendo preso i voti per le sue posizioni nazionaliste, Meloni si è piegata alla Ue. Si vede anche per quanto riguarda il Mes, su cui sembrava che dovessero fare le barricate e ora sono in panne».
La situazione non lasciava molto margine per fare di più, è la risposta che darebbe il governo…
«Una cosa semplice si poteva fare: tassare gli extraprofitti. È la dimostrazione che questo governo è forte con i deboli e debole con i forti».
Torniamo a Unione popolare. Si strutturerà? Come? Come partito unitario, come federazione…
«La discussione è in corso. Io penso che oggi non ci siano le condizioni per strutturarsi come partito unitario. E che non sia nemmeno necessario. Penso invece ci siano le condizioni per aprire una fase di discussione interna, allargandola a chi ha voglia di partecipare. Già con l’assemblea del 4 e con il comitato costituente abbiamo avviato questo percorso. Credo, inoltre, che ci sia una necessità oggettiva di una forza realmente alternativa e credibile come Unione popolare. La credibilità e la coerenza si costruiscono nel tempo, non con un passaggio elettorale e nemmeno in pochi mesi. Il dato vero delle ultime Politiche, d’altronde, sono l’astensionismo e la disillusione. La sfida grossa sarà recuperare quei disillusi».
Unione popolare dovrà radicarsi sui territori.
«Certo. E fare rete. Penso che il compito di una rappresentanza politica sia dare una prospettiva politica non solo ai singoli e alle singole categorie degli sfruttati, ma anche alle realtà che già si battono sul territorio per una rottura radicale con questo sistema, a partire da associazioni e movimenti».
Una vicinanza con alcune realtà c’è già, come per esempio i Fridays for Future, gli Extinction Rebellion, i lavoratori Gkn. Per non parlare dei sindacati di base.
«Sì. Allo sciopero generale dei sindacati conflittuali del 2 dicembre e alla manifestazione del 3 l’unica forza politica presente è stata Unione popolare. E questo penso sia significativo. Chiaramente non c’è un rapporto organico: il sindacato fa il sindacato, la forza di rappresentanza politica fa la forza di rappresentanza politica. Secondo me, però, una forza politica di rottura non può prescindere dalle piazze e dal conflitto sociale».
A proposito di sindacati: Up ha molti rapporti con quelli di base, ma con la Cgil che rapporti avete? E come vi porrete? A marzo ci sarà il congresso Cgil, che tuttora è il più grande sindacato in Italia.
«Questa discussione all’interno di Unione popolare ancora non si è svolta, quindi non posso parlare a suo nome. A mio parere dobbiamo essere dove ci sono le lotte dei lavoratori. È chiaro che andrà fatta una valutazione su quale sia il modello di sindacato oggi utile, ma sono due cose diverse. Come forza politica, per me, bisogna stare a fianco alle lotte, chiunque le porti avanti, ma non al modello concertativo incarnato e rappresentato da Cgil, Cisl e Uil, che hanno accompagnato le peggiori riforme del lavoro, firmato contratti collettivi nazionali da fame e distrutto la fiducia nella parola sindacato».
Tornando a Up e ai rapporti con il mondo vicino: una qualche forma di dialogo ci può essere con forze di sinistra o con il M5s?
«Dal mio punto di vista il M5s sta cercando di rifarsi una faccia dopo aver fatto parte del governo Draghi e aver tradito i propri elettori, governando con tutti a livello nazionale e locale. Anche sulla guerra ha preso posizioni più radicali ma di fatto è rimasto ambiguo. Detto questo, io mi auguro che il campo largo della contrarietà alla guerra cresca. Quindi ben venga se i Cinque stelle sceglieranno questa linea senza ambiguità, ma non possiamo dimenticare che l’attuale classe dirigente del M5s è la stessa che ha governato con tutti (e firmato abomini come i decreti Sicurezza) fino al governo Draghi, in cui sono stati complici al 100% dell’escalation militare, al di là delle mosse tattiche degli ultimi mesi. Su chi ha fatto la stampella al Pd da sempre, poi, per me è difficile dare una valutazione positiva. In ogni caso Unione popolare deve ancora affrontare una discussione approfondita su questi temi, sia a livello nazionale sia a livello locale».
Nel Lazio alcuni esponenti di Up, tra cui Pinuccia Montanari, hanno fatto un appello affinché, in vista delle Regionali del 12-13 febbraio, quanto meno dialoghiate con il M5s e la sinistra.
«È normale che dentro Up, una forza nuova e con tante anime, ci siano opinioni diverse, non sulle questioni di fondo ma su alcuni aspetti. Come Potere al popolo siamo contrari ad andare in alleanza con i Cinque stelle, ma in ogni caso al momento nulla è deciso, il dibattito è in corso».
Pochi giorni fa, proprio qui alla Bolognina Elly Schlein ha (ri)preso la tessera del Pd, che si candida a guidare. Un giudizio su di lei?
«Non è un caso che l’abbia presa qui, vista la Svolta storica della Bolognina e quello che ha comportato… Io ho sempre avuto un pessimo giudizio su di lei, non solo perché rappresenta ciò che ha distrutto la sinistra, ma anche perché ha sostenuto da vice Stefano Bonaccini, l’anima più di destra del Pd oggi, le cui leggi regionali – in Emilia-Romagna – ricalcano molto spesso quelle del Veneto. Per esempio sulla casa».
Parliamo di Luigi de Magistris, leader di Unione popolare. Era la figura più conosciuta, tanto è vero che avete inserito il suo nome sul simbolo (con qualche polemica)…
«…adesso è stato tolto dal simbolo. Era una necessità elettorale, per questioni di conoscibilità, ma oggi il simbolo non ha nomi personali».
Però è tuttora il leader di Up?
«È stato portavoce alle Politiche – come richiesto dalla legge elettorale – e lo è tuttora. Però non abbiamo stabilito chi sarà il nostro portavoce, perché il processo di Unione popolare richiede tempo, con realtà diverse ed evoluzioni politiche significative: dal governo Meloni alla guerra, fino al caro bollette, i tempi sono stati veramente rapidi».
Chiedo di rispondere a delle critiche che sono state mosse a Unione popolare proprio qui su Ventuno, in due interviste recenti. Per Lenny Bottai e Stefano Fassina, due persone molto diverse tra loro, Up non ha il sostegno delle classi popolari (leggi qui Lenny Bottai: «Per recuperare le masse popolari serve una sinistra di classe»).
«Il nostro obiettivo è proprio quello di ricostruire un rapporto organico con le classi popolari ed è il motivo per cui come Potere al popolo stiamo investendo in Up. Oggi
non ci sono altri progetti che possono dire di essere riusciti a creare questa connessione. La sfida è resa ancora più difficile proprio perché negli ultimi decenni
il centrosinistra – e poi Salvini e Conte – hanno svenduto o tradito le classi popolari. Oltretutto noi, intendo di Potere al popolo, siamo delle classi popolari, non siamo qualcosa di diverso. In gran parte siamo giovani lavoratori precari. Oggi il tentativo è di allargare il fronte comune, soprattutto davanti a emergenze come il rischio concreto di Terza Guerra mondiale: Up ha una linea chiara contro la guerra, contro le sanzioni, contro l’invio di armi, contro l’aumento delle spese militari e contro la Nato».
La critica era anche sul fatto che il voto a Up del 25 settembre è in buona parte borghese (leggi qui Stefano Fassina: «Dal lavoro all’ambiente, bisogna fare la Sinistra. Con il M5s di Conte»).
«È un voto di opinione, è vero. Ma per ora! Il punto è: un progetto e un obiettivo. Anche il M5s non è arrivato al 30% dall’oggi al domani. Oggi le fasce popolari non sono rappresentate da nessuno. Noi stessi, parlo ancora per Potere al popolo, possiamo dire che nessuno ci rappresenta. La nostra sfida è proprio questa: costruire una forza che possa rappresentarci, in quanto lavoratori e lavoratrici, pensionati, studenti, sfruttati. Per questo facciamo politica: perché vogliamo un riscatto. Non ci sono scorciatoie».
Un’altra critica emersa qui (Lenny Bottai: «Per recuperare le masse popolari serve una sinistra di classe») è che se si va nelle periferie o nelle borgate parlando con l’asterisco non ci si può connettere alle classi popolari…
«Al di là del fatto che io personalmente l’asterisco non lo uso, penso che non si debbano mettere in contrapposizione diritti sociali e diritti civili. Il nostro ruolo è quello di rendere comprensibili alcune tematiche, come i diritti delle donne, senza scollegarle dalle questioni di classe. Quando dico che non ci sono scorciatoie intendo anche che non si possono assecondare istinti beceri per accattivarci le masse popolari. Vale anche per le questioni dei migranti».
Recentemente si è tenuto il congresso della Sinistra europea, a cui Rifondazione aderisce da sempre, Potere al popolo no. Come vi porrete anche su questo?
«Dovremo discuterne. Ribadisco che il nostro percorso è complesso e in poco tempo non possiamo sciogliere tutti i nodi. D’altronde se veniamo da esperienze diverse ci saranno dei motivi. Sulla questione della guerra, per esempio, c’è unanimità. E non è una cosa da poco. Pace, lavoro, ambiente, diritti: l’importante per me è costruire una forza che si allei con i soggetti sociali e si ponga come alternativa di sistema, perché questo modello di sviluppo non è solo sbagliato, proprio non funziona. Produce disuguaglianze e ci sta portando al collasso climatico e sull’orlo di una guerra mondiale. C’è bisogno di un cambio di modello di sviluppo, non di casacca o di opinione su qualche piccolo tema».
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