Perù: politica specchio della società?
Guardare il passato per capire il presente
Vorrei fare una premessa prima di iniziare. Prima di scrivere ho cominciato a chacchar coca (masticare una foglia di coca, espressione che nel mondo andino rimanda alla ricerca di consapevolezza e chiarezza, ndr) per potermi liberare di qualsiasi teorizzazione che vada a giustificare tutta questa violenza, chiedendo alla foglia di coca di non cadere in dicotomie e poter superare la dualità (la foto in evidenza è di Franklin Briceño, ndr).
Per capire il presente o almeno cercare di capire cosa sta succedendo in Perù dovremmo ricordare che Fernando Belaúnde Terry è stato l’unico presidente non arrestato negli ultimi 40 anni. Il Perù è un paese che vive nell’ingovernabilità permanente. Sicuramente questo fallimento ha radici ben profonde, risalenti alla nascita del Paese. Fin dalla sua indipendenza è stato retto da élite (i ribelli della Corona) il cui unico interesse era mantenere i propri privilegi e il proprio potere, soprattutto economico. Un’aristocrazia, un’oligarchia e – con Alberto Fujimori – una narco-repubblica contaminata dalle dinamiche più oscure in tutte le sue sfere. Per non parlare della corruzione, che sembra l’unico atto democratico, perché si estende dalle sfere più alte della società a quelle più basse. È un sistema che genera instabilità permanente: non a caso abbiamo avuto sei presidenti in cinque anni.
Tale instabilità ha portato il Perù nel caos, con ben 25 morti negli ultimi dieci giorni. Per non parlare di tutte le vittime tra chi difendeva le terre, i laghi e le montagne e di tutte le problematiche socio-ambientali degli ultimi anni. Ci siamo abituati a nascondere sotto il tappeto tutte le cose scomode che ci disgustano come società e di cui non vogliamo parlare: il razzismo istituzionalizzato, il classismo, il sessismo e le dinamiche coloniali. Una necropolitica che ancora oggi, nel 2022, non siamo riusciti a superare, curando tutte le ferite che sanguinano ancora. Quel passato che non è passato è più presente che mai. E oggi si riflette nei diversi discorsi: dal potere politico a quello militare, fino a quello mediatico.
La politica è uno specchio della società?
Secondo uno studio dell’istituto peruviano Iep (Instituto de Estudios Peruanos), il 38% dei peruviani sarebbe favorevole a un colpo di stato militare. Una percentuale altissima, che sembra frutto dell’autoritarismo, dove la mano fuerte diventa la regola della politica. Non sembra un caso isolato: abbiamo visto come il disamore per la politica e le istituzioni sia sempre più diffuso in America Latina (e non solo).
Cosa chiedono le manifestazioni in Perù? Que se vayan todos (che se ne vadano tutti), slogan che sento da più di dieci anni. Dopo, però, chi arriva? Il vero problema è che non abbiamo un vero tessuto sociale. In un paese nel quale la normalità è se salve quien pueda (si salvi chi può), è difficile potersi riconciliare, sanando le ferite che ancora sanguinano. Cosa servirebbe? Una proposta di cambiamento – non solo nella forma – per affrontare i problemi complessi del Paese. Non siamo abituati al dibattito, all’ascolto vero. Non solo per far prevalere le proprie idee ma per generare un incontro per poter costruire un paese de todas las sangres (di tutte le stirpi, titolo anche di un romanzo di José Maria Arguedas).
Secondo il giornalista peruviano César Hildebrant, “Castillo non è un incidente nella storia del Perù, è l’affermazione finale che sia uno stato fallito. Senza alcun progetto nazionale”.
Siamo un paese democratico o in via di costruzione della democrazia? Per molti il Perù è una caricatura della democrazia, senza una classe politica con una visione di Paese, dove la politica è un accessorio mercantilista, senza partiti politici che abbiano una proposta concreta e profonda sulla complessità e ingovernabilità nelle quali è immerso il Perù. Quel 38% ci conferma l’urgenza di iniziare a educare in una maniera diversa, di aprire il dibattito pubblico, di essere vigili “da fuori e da dentro”, perché se vogliamo un cambiamento devono incontrarsi le volontà della società civile e della classe politica per poter guardare tutti nella stessa direzione, nel rispetto della diversità (politiche/culturali/cosmogoniche/ideologiche).
In politica ci sono coincidenze? Dobbiamo ricordare che il 2023 è un anno fondamentale per il Paese: scadono diversi progetti, si rinnoveranno concessioni milionarie, in un paese dove ci sono multinazionali che rinegozierebbero ma il Perù, paese ‘sovrano’, non può, grazie alla sua Costituzione del 1993.
Al di là dei simboli
Pedro Castillo rappresenta il fallimento dei ‘simboli’ della speranza di cambiamento, il suo discorso del pueblo para el pueblo. Oggi è il popolo a mettere il corpo, è la conferma della ‘rivoluzione’ sotto una stessa visione coloniale che pratica le stesse dinamiche di potere, dove le vite umane rimangono in secondo piano.
Quel potere come centralità anche di movimenti popolari basato sulle dinamiche coloniali fa ancora molto male. Quanto ancora ci dobbiamo nascondere e giustificare con le più diverse teorie, per non sentirci coinvolti dalla morte di 25 persone, di cui solo nel dipartimento di Ayacucho ce ne sono state nove?
Edgar Wilfredo Prado Arango, 51 anni
Raul Garcia Gallo, 35anni
Leonardo Hanno Chacca, 32anni
Jhon Mendoza Huarancca, 24 anni
Jose Luis Aguilar Yucra, 20 anni
Luis Miguel Urbano Sacsara, 22anni
Clemer Fabricio Rojas Garcia, 23 anni
Josue Sanudo Quispe, 31anni
C.M.R.A, 15 anni.
Il dipartimento di Ayacucho – nome quechua che significa ‘l’angolo della morte’ – paradossalmente quello con più morti e più colpito durante gli anni del terrorismo, si trova nella zona rurale del Perù profondo. Un dipartimento che fu scenario di una decisiva battaglia che portò all’’indipendenza’ del Perù.
Il Perù ha un passato violento e sangriento (sanguinoso, ndr). Eppure sembra che la memoria collettiva sia stata cancellata e ancora oggi non abbiamo imparato da quel passato orrendo e doloroso che ci accomuna. Questo scenario ci ricorda l’importanza di tessere la memoria collettiva perché questi meccanismi di autoritarismo, violenza e giochi di potere non si ripetano.
Ma il Perù è più grande dei suoi problemi? I figli del sole, gente resiliente, Paese di tessitrici e tessuti. Tessuti che ad oggi sono pieni di nodi che si ingigantiscono ogni volta che trovano resistenza, in cui sicuramente bisogna affermarsi con molta forza – con la forza dell’amore, dell’empatia e della pazienza – per poter snodare quei nodi così disarmonici.
Gli abuelos (i vecchi, ndr) dicono che il caos sia portatore di equilibrio e armonizzazione, che anche nel buio più profondo ci sarà sempre uno spiraglio di luce. Spero che i miei fratelli e sorelle possano vedere quel filo di luce che ci conduca a percorrere il sumaq kausay – ovvero buenos vivires – e camminare soprattutto le nostre parole.
Haylli jallalla per un nuovo despertar di consapevolezza.