Le canzoni che hanno vinto Sanremo e cambiato l’Italia
Sanremo è arrivato. Anche nell’anno della pandemia l’Italia non è riuscita a farne a meno, nonostante i decennali proclami di improvvisate cassandre sulla morte del Festival. Profezie che a volte tornano, annunciate come imminenti e poi smentite, un po’ come quelle sulla fine del mondo, la rivoluzione o il federalismo.
D’altronde l’evento clou della tv nazional-popolare è molto più di una gara per scegliere la canzone più bella, accompagna la storia del nostro paese dal Dopoguerra, ne è specchio e antitesi. L’ultima serata del Festival della canzone italiana è l’equivalente per noi di ciò che in America è la Notte degli Oscar. Un momento in cui l’intero paese si riunisce intorno ad un palco e rivela sé stesso nel bene e nel male.
Una delle critiche spesso mosse al Festival è che finisce per non premiare mai la canzone migliore. L’Ariston è accusato di essere un palco dove si celebra un’Italia sempre indietro rispetto ai tempi che corrono. È davvero così? A volte sì, altre no. Abbiamo scelto otto canzoni che hanno vinto la kermesse e che invece hanno molto da dire sul periodo storico in cui sono state scelte.
1. Nel blu dipinto di blu, 1958, Domenico Modugno
Una scelta inevitabile e scontata. L’Italia, dopo gli anni difficili della guerra e della ricostruzione, ritorna il Paese della bellezza e dell’amore. “Nel Blu dipinto di Blu” di Domenico Modugno conquisterà il mondo intero, diventando un simbolo della nostra identità nazionale. L’Italia vola, c’è il boom economico. A cantare l’inno di questo nuovo ritrovato periodo di felicità, dopo tante sofferenze, è un cantante pugliese, che spalanca le braccia nel ritornello. Un gesto di liberazione e gioia paragonabile per potenza comunicativa all’esultanza di Tardelli nel Mondiale del 1982. La sua vittoria annuncia anche l’inizio di una nuova era per la musica, quella dei cantautori.
2. Non ho l’età per amarti, 1964, Gigliola Cinquetti
La canzone “Non ho l’età per amarti” di Gigliola Cinquetti trionfa a Sanremo e all’Eurovision Contest. È l’ultima fotografia del sesso prima della rivoluzione, prima del ’68 (leggi l’articolo Il 2021 intervista il 1968). È la rappresentazione di una gioventù che ancora non conosce la ribellione, gli anni della contestazione. Un’Italia timida, che non ha ancora perso l’innocenza e si confronta con pudore con il tema dell’affettività. In pochi anni cambierà tutto e anche i testi delle canzoni.
3. Chi non lavora, non fa l’amore, 1970, Adriano Celentano e Claudia Mori
L’autunno caldo si è concluso da poco. A piazza Fontana è esplosa una bomba che ha aperto l’era della violenza politica e delle stragi. La mano è di estrema destra, ma i giornali accuseranno l’anarchico Pietro Valpreda. La borghesia è impaurita, vorrebbe una svolta conservatrice. Gli studenti e gli operai invece vogliono giustizia sociale, una trasformazione profonda. Otterranno lo Statuto dei lavoratori. Trame oscure però preparano colpi di stato.
Anche Sanremo non è immune all’attualità. Se fino a qualche anno fa Adriano Celentano anticipava i temi cari all’ambientalismo con “Il ragazzo della via Gluck” e in futuro diventerà anche una voce, con i suoi programmi televisivi, di opposizione alla destra di Silvio Berlusconi (indimenticabile Rockpolitik), nel 1970 canta “Chi non lavora, non fa l’amore”. Questa canzone sembra strizzare l’occhio a chi voleva riportare la pace sociale nello stivale e sperava nella fine delle agitazioni e degli scioperi nel Belpaese.
4. Per Elisa, Alice, 1981
Gli anni Settanta sono finiti, ma non invano. Il movimento femminista ha dato qualche frutto. Nel 1981 al festival vince Alice con “Per Elisa”. Sul palco ha trionfato una donna forte, sicura di sé, che rimprovera un uomo debole.
La canzone però assume un significato particolare per alcuni, visto il periodo storico. L’interlocutore a cui si rivolge Alice si sarebbe fatto “rubare l’anima” da Elisa, figura che viene interpretata da qualcuno in senso metaforico. Sono gli anni in cui esplode il consumo dell’eroina (leggi l’articolo “Movimenti giovanili e droga”) e questa canzone verrà anche usata per raccontare quell’Italia che finisce schiava di questa vera e propria piaga sociale.
5. Vorrei incontrarti tra cent’anni, Ron e Tosca, 1996
Gli anni Novanta sono un lungo countdown in attesa del XXI secolo. Si moltiplicano paure e speranze, pian piano che si avvicina il nuovo millennio. Come saremo tra cent’anni? Riusciremo ancora ad amarci come oggi? La canzone “Vorrei incontrarti tra cent’anni” di Ron e Tosca lancia la promessa che sì, ci riusciremo anche tra un secolo.
La ragione per cui citiamo questa canzone è anche un’altra. Gli anni Novanta sono l’epoca dell’esplosione degli scandali. Tangentopoli ha rivelato agli italiani la corruzione del sistema politico. Le stragi di mafia e le dichiarazioni dei pentiti hanno gettato ombre inquietanti sul nostro Paese. Si diffonde la sfiducia nelle istituzioni e si ricorre alla dietrologia per raccontare la storia della Repubblica. Non è un caso che anche a Sanremo si diffonda la teoria del complotto. La scomoda canzone di Elio e le storie tese, “La terra dei cachi”, una denuncia ironica di un Paese allo sbando tra stragi impunite e malaffari, perde in modo imprevedibile, dopo essere sembrata praticamente invincibile fino al voto finale. Tutt’oggi molti, compreso Elio stesso, sostengono che ci fu una manovra di sabotaggio nei confronti della band satirica.
6. Ti regalerò una rosa, Simone Cristicchi, 2007
Una canzone davvero poco sanremese, che richiama l’attenzione sul Festival, dopo gli anni della crisi di ascolti e prima della fase “Sanremo famosi”, un lungo periodo in cui a trionfare nella gara musicale saranno soprattutto ex concorrenti di talent show, molti provenienti da “Amici di Maria De Filippi”. “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi affronta il tema del disagio psichiatrico, un problema che la società tende a rimuovere, di cui il grande pubblico di solito non vuole sentir parlare. L’eleganza della lettera d’amore, attraverso cui viene raccontata una umanità fragile e ricca di voglia di vivere, sarà dirompete e sensibilizzerà milioni di italiani.
7. Chiamami ancora Amore, Roberto Vecchioni, 2011
Il 2011 è, permetteteci di coniare una nuova espressione, “l’annus indignationis”. La Grande Recessione, iniziata nel 2008, sta portando il mondo a protestare nelle piazze, a chiedere un cambiamento, dopo il fallimento economico e sociale del sistema neoliberista. Esplodono le Primavere arabe. Il movimento degli Indignados. Occupy Wall Street. È un anno ancora poco raccontato, che però porterà alla fine di un’era anche in Italia. I risultati del referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare, la vittoria dei “sindaci arancioni” (Giuliano Pisapia a Milano e Luigi De Magistris a Napoli) mettono in crisi il governo di Silvio Berlusconi, che dovrà poi dimettersi incalzato dalla crisi finanziaria e dall’isolamento internazionale.
C’è voglia di cambiare, insomma. Ci si rende conto che si sta attraversando una lunga notte che come canta Roberto Vecchioni sul palco dell’Ariston “dovrà pur finire”. Così una delle canzoni più politiche (se leggiamo con attenzione il testo) della storia del Festival conquista una meritata vittoria: “Chiamami ancora amore”.
8. Fai rumore, Diodato, 2020
È il boato prima della tempesta. Diodato canta vittorioso “Fai rumore”, poche settimane prima del lungo insopportabile e “innaturale” silenzio di un’Italia chiusa in lockdown a causa del Covid-19. L’urlo del cantante pugliese, chiude il cerchio che avevamo iniziato tra le braccia del suo conterraneo Domenico Modugno. Come con “Mister Volare” ci lasciavamo alle spalle le ultime macerie del conflitto mondiale, con questa canzone abbiamo dato il commiato ad una lunga epoca, il tutto sommato non infelice Dopoguerra, per vivere un’altra grande tragedia storica. In attesa del mondo che verrà e delle canzoni che lo racconteranno.
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