Brasile, tre anni senza Marielle Franco
«Essere una donna nera significa resistere e sopravvivere sempre».
Sono trascorsi ormai tre anni dall’assassinio dell’autrice di questa frase (qui il link), Marielle Franco, che il Guardian ha indicato come «un’eccezione della politica brasiliana». Definirla come «consigliera comunale di Rio de Janeiro» o «membro del Partito Socialismo e Libertà» sarebbe giusto ma estremamente riduttivo: Marielle Franco ha incarnato in vita una speranza per le donne brasiliane ed evoca adesso, dopo la sua brutale morte, la prospettiva di un futuro in cui la tutela dei diritti umani sarà un obbiettivo prioritario tanto per la società civile quanto per le istituzioni.
Una donna contro gli abusi
Ma facciamo un passo indietro, provando a ricostruire la vita della sociologa e attivista brasiliana: focalizzandoci sulla sua lunga e proficua attività politica, notiamo fin da subito una predisposizione verso la tutela delle donne, grazie anche alla guida della Commissione per la difesa delle donne istituita nel Consiglio municipale o la proposta del progetto per far valere l’aborto legale, per citarne alcuni. Più in generale, Marielle Franco si è sempre battuta fermamente contro qualsiasi tipo di abuso, denunciando ripetutamente anche quelli commessi dalla polizia nelle favelas: ricordiamo che proprio nei giorni precedenti al suo omicidio, Marielle Franco si era espressa pubblicamente e duramente contro l’uccisione di tre uomini, tra cui Matheus Melo, ucciso da alcuni agenti di polizia mentre usciva da una chiesa.
Il suo impegno e la sua dedizione verso cause diverse e disparate, ma tutte accomunate da un filo di umanità, empatia e uguaglianza, hanno permesso di far emergere in superficie temi sempre volutamente ignorati, lasciando il femminismo e la parità di genere relegati in un angolo e l’ennesima uccisione ingiusta alle statistiche. Marielle Franco, con il suo operato, ci ha ricordato e ci ricorda che contro la disparità e il razzismo bisogna agire e alzare la testa, anche a costo di compiere duri sacrifici; e nel suo caso questo sacrificio corrisponde alla vita stessa.
L’imboscata
Arriviamo quindi alla sera del 14 marzo 2018. Marielle Franco, e con lei il suo autista (Anderson Gomes), vengono uccisi in un’imboscata notturna senza alcuna possibilità di reagire, alle 21:30, di ritorno da un dibattito sul problema della violenza contro le donne afroamericane nelle favelas svoltosi presso la Casa das Pretas (Casa delle donne nere) a Lapa. Un assassinio compiutosi vigliaccamente nelle stesse modalità utilizzate contro le persone residenti nelle favelas impoverite di Rio de Jainero e del resto del Brasile. Un messaggio di terrore, una minaccia che suona come un «morirai come chi provi a difendere, se ci provi». Fin da subito, l’amaro sospetto della connessione tra l’omicidio, il potere politico e la polizia si fece spazio; ad oggi, infatti, a pagarne le conseguenze si trovano due ex agenti della polizia militare: Ronnie Lessa ed Elcio Vieira de Queiroz, attualmente sospettati.
Le ombre sulla famiglia Bolsonaro
Recentemente, nella complessa ricostruzione dell’omicidio, si è arrivati ad associare il nome di Queiroz proprio al figlio di Jair Bolsonaro, Flavio; l’ex agente aveva infatti lavorato a lungo con il figlio maggiore di casa Bolsonaro, essendo stato il suo braccio destro quando egli era deputato al Parlamento dello Stato di Rio, nello stesso periodo della Franco. Una testimonianza non verificata di un portinaio, trasmessa da Rede Globo, vedrebbe Queiroz recarsi nel complesso abitativo di Bolsonaro il giorno dell’omicidio; testimonianza ovviamente smentita e messa a tacere dal presidente stesso, attraverso un video in cui appare scosso dalle accuse (qui il link al video).
L’esempio di Marielle Franco
In questo intreccio di incertezze e dati poco solidi, la pista fino ad ora seguita sembra essere fragile e prossima ad un vicolo cieco; dopo tre anni l’omicidio di Marielle rimane dunque irrisolto, simbolo dell’impunità generalizzata verso la violenza contro i difensori dei diritti umani in Brasile. Le numerose manifestazioni svolte in tutto il mondo dimostrano un’insofferenza e una frustrazione nei confronti di istituzioni che poco si spendono per la lotta alle disuguaglianze e alle violenze. E, in qualche caso, se ne rendono complici. Un’icona come la Franco, però, deve ricordarci che per quanto sia difficile non bisogna smettere di lottare in prima persona o di stare al fianco di chi decide di dare la vita per farlo.
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