Ricordando Pannella: «Io non violento, ma non chiamatemi pacifista»
Cinque anni fa Marco Pannella (foto in evidenza) lasciava orfana l’Italia della sua grande passione per la politica e la giustizia. Protagonista rumoroso, vivace e incessante della fine del Novecento, alla guida di un esercito di idee, più che di masse popolari. Il suo Partito Radicale era una piccola forza in un’epoca di partiti di massa e poi di forze massmediatiche, ma ha cambiato l’Italia, il modo di fare movimentismo e la comunicazione. La forza era nel pensiero, nelle battaglie che ne facevano e ne fanno un precursore a volte scomodo per la sua trasversalità, per la sua coerenza alla propria coscienza in epoche in cui la fedeltà era più facile dichiararla alle parti e agli schieramenti.
Per raccontare Marco Pannella abbiamo chiacchierato con il fotografo e giornalista Pasquale Spinelli. Figura che ha condiviso fortemente i valori che ispiravano i Radicali tra gli anni Settanta e Ottanta. Ha conosciuto Pannella e ne ha ritratto a volte, attraverso le fattezze del corpo e i segni del tempo, idee e speranze.
Perché essere Radicali?
«Mi sono avvicinato ai Radicali a sedici anni nel 1972, perché ero un progressista, ma un liberale. Non amavo i partiti di massa, quei luoghi dove tutti erano d’accordo. Non ero comunista di certo, ma avevo attenzione per le persone e conservavo alcune sensibilità raccolte negli anni dell’infanzia», racconta Spinelli.
Un’infanzia quella del fotogiornalista vissuta nella vecchia Bologna, in via Pietralata. Fatta di sofferenze e solidarietà, come nelle comunità di una volta. Una fanciulezza segnata dalla morte del padre e dalle difficoltà anche materiali che ne conseguono. Spesa in quel quartiere tipico di un film post-neorealista, dove non c’erano pregiudizi, ma tanta amicizia e condivisione. Se la madre doveva lavorare, a prendersi cura di lui c’era una gentile vicina di casa, che lavorava come prostituta. Il travestito del pianterreno offriva la sua casa ai giovani della leva che dovevano uscire e rientrare in caserma in divisa, ma non potevano avvicinare le ragazze negli anni Settanta vestiti da militari. «In divisa a Bologna a quel tempo non ti fumava nessuno».
«I Radicali erano gli unici che manifestavano sensibilità per certe sofferenze e per determinate realtà sociali. L’attenzione era tutta rivolta alle persone, era una politica fatta dal basso per la gente». È così che il giornalista decide di avvicinarsi e poi tra il ’75 e il ’76 di iscriversi a questa forza politica diversa dalle altre protagoniste di quel periodo, nata nel 1955 dopo la scissione dal Partito liberale italiano. «Eravamo una realtà piccola, eravamo pochi, ma facevamo un gran casino».
Pannella, il maestro
«Ho conosciuto Pannella ad una manifestazione a Roma. In quegli anni eravamo spesso in strada. Divorzio, aborto e nucleare. Tutti temi vicini alle problematiche reali delle persone. Per Pannella poi dovevamo sensibilizzare tutti, anche il Vaticano, anche se si trattava di temi come l’interruzione di gravidanza. Diceva: “Si parte da Porta Pia e si arriva al Papa”. Non posso dimenticare quegli slogan che ricordavano che la nostra era una politica fatta di persone vere: “Tre milioni di vivi”, dicevamo».
È in questo periodo che nasce la prima foto di Spinelli usata per una campagna elettorale, definita dal leader stesso con un’espressione destinata ad avere fortuna: “Il Santino” (foto accanto). «Ero a Bologna ed effettivamente alle spalle di Pannella ecco sfocato un arco di palazzo d’Accursio, che crea quasi un’aureola», scherza. Effettivamente il leader radicale qui, grazie a quella mano che sembra indicare il cielo, ricorda un po’ l’iconografia sacra e sembra soddisfare quel bisogno di messianesimo politico tipico del Novecento. «Io lo vedevo come un maestro, credevo nel suo modo di fare politica e volevo ci credesse chi mi circondava», spiega l’autore della celebre foto.
Pacifista a chi?
Chi era Pannella però? «Era uno che nei Radicali piaceva a tutti, quando parlava nelle assemblee non c’era una votazione, c’era un’acclamazione, che a me magari infastidiva anche e mi astenevo. Era un uomo carismatico comunque, riconoscevi la forza del personaggio anche quando non ti convinceva».
Poi non si può non parlare di quella che solo a prima vista era una contraddizione, ma ripeteva sempre: «Si definiva non violento, ma si arrabbiava se lo chiamavano pacifista. Lui diceva: “Il pacifismo è la peste del secolo”. E ancora: “Sono non violento, sono un seguace di Gandhi”. Il termine pacifista gli faceva perdere la pazienza, d’altronde era un combattente, ma con metodi non violenti. Spesso però forti, come in quella famosa Tribuna elettorale – programma televisivo che dava spazio alle varie formazioni politiche nei giorni precedenti un’elezione o un referendum – nel 1978 in cui si presenta imbavagliato, un’immagine in grado di provocare e scuotere».
L’immagine, l’uomo e il fango
«Non era un uomo che si preoccupava della sua immagine. Lui la politica la faceva parlando con la gente. Se in Tv poteva dare un’impressione di impetuosità, con sfumature che traevano in inganno e evocavano arroganza, lui era invece un uomo amorevole, attento a come stavi. Lo chiedeva a tutti: “Come stai?”. Non in modo meccanico, a lui interessava veramente».
Continua Spinelli: «Era circondato sempre da persone molto preparate che riuscivano con la loro intelligenza a zittire intere piazze. Dopo che avevano candidato Cicciolina, storica pornostar italiana, durante un comizio a Ferrara molti erano abbastanza contrariati. Volevano contestare questa decisione. Giovanni Negri, all’epoca giovane segretario, arriva e dice: “Cari cicciolini ferraresi”, la gente ride e le critiche vengono spazzate via».
Su di lui si scatena effettivamente anche la macchina del fango. «Insulti terribili lo hanno rincorso, dai tempi della battaglia per il Referendum sul divorzio, quando gridavano: “Pannella cornuto”. Mettevano in discussione i suoi scioperi della fame. Dicevano che era tutta una farsa. Questo perché la sua politica mobilitava le coscienze, smascherava le ipocrisie. Lui andava dai cattolici e diceva: “Vi battete contro l’aborto, contro la morte di bambini che ancora non sono nati e lasciate che migliaia di fanciulli invece muoiano ogni giorno di fame in Africa”. Faceva pensare e non sempre la gente vuole farlo».
Ne dicevano tante dei radicali, descrivendoli come libertini. «Eppure i nostri congressi – racconta l’ex attivista – erano i più seri che si vedevano all’epoca in politica. Molto peggio quelli della Dc, dove ho visto di tutto. Noi ci battevamo per i diritti e le libertà di tutti come principio, non certo per ragioni di libidine personale».
I segni del tempo
«Era un grande bevitore di caffè ed “eccelleva” anche come fumatore di sigarette». Insieme alle battaglie, all’impegno, anche questi vizi lasciano tracce sul viso. Impronte, strade, orme di una vita spesa da protagonista. E sono proprio queste caratteristiche che nel 2005 non sfuggono all’occhio del fotografo, che le rende protagoniste di una nuova campagna elettorale (foto sopra). «I segni del tempo dialogano qui con uno sguardo che sembra aprirsi al futuro. Il tempo passa, non le idee».
Per Spinelli però la militanza era finita già all’inizio degli anni Novanta. L’avvicinamento ai socialisti e altre scelte non lo convincono. «Il mio rapporto con lui era quello che conservi con un vecchio amico. Anche se non sei d’accordo, gli vuoi bene lo stesso».
Poi arriva la morte del vecchio leader. «Per me da allora il movimento è disperso. È come se oggi i radicali non avessero più la loro guida. Hanno perso quella vocazione di forza che dialoga con la gente, per preferire il palazzo. Tutto diverso dalle origini».
Cosa rimane di Pannella? «Ha dato voce agli ultimi, a quelli che le altre forze politiche si rifiutavano di vedere. Ci ha insegnato che la base, la gente può cambiare le cose anche dal basso e senza l’uso della violenza. Questa è la sua grande lezione», conclude Spinelli.
Ringraziamo Pasquale Spinelli per tutte le foto*
Leggi anche: Il giorno in cui Eduardo Galeano ha lasciato questo mondo