Boxe, trionfo di Cuba in Serbia. La Cruz campione del mondo per la quinta volta
C’è un Paese, in America Latina, che continua a fare la storia. Stiamo parlando naturalmente di Cuba, patria del son, della Rivoluzione e del pugilato. Lo scorso sabato, in Serbia, gli atleti cubani del boxeo hanno infatti vinto gli ultimi Mondiali, raggiungendo la vetta degli 80 ori nel medagliere di tutti i tempi. Un primato poderoso, nemmeno sfiorato dai 26 ori della Russia e dai 18 degli Usa. Con una firma su tutte: quella di Julio César La Cruz, capitano dei Domadores (così vengono chiamati i pugili della Nazionale cubana) e stella planetaria della boxe, che ha ottenuto il suo quinto titolo mondiale. Battendo in finale, alla Stark Arena di Belgrado, l’italiano Aziz Abbes Mouhiidine, piegatosi solo ai punti (4-1) al boxeador cubano.
Belgrado 2021
Recatasi in Serbia con un pugile solo in otto delle tredici categorie, a causa del Covid-19 che ha fermato alcuni atleti prima della partenza, la delegazione cubana di boxe è riuscita a ottenere una clamorosa vittoria, nonostante lo svantaggio. Gli otto boxeadores, infatti, hanno conquistato la Coppa del Mondo Aiba con tre medaglie d’oro e due di bronzo. Superando, sul podio, Kazakistan e Stati Uniti (fermi a due ori, due argenti e un bronzo, quest’ultimo solo per i kazaki). Bilancio finale: 27 vittorie, 5 sconfitte. A vincere i tre ori sono stati Andy Cruz Gómez (63.5 kg) – tre volte campione del mondo -, Yoenlis Hernández (75 kg) e Julio César La Cruz (92 kg). Bronzo per Osvel Caballero (57 kg) e Henrich Ruiz (86 kg).
Un italiano in finale
Tra i pesi massimi, la finale di questa Coppa del Mondo (iniziata il 25 ottobre) ha visto sfidarsi il capitano della Nazionale cubana La Cruz e il campano di Avellino Aziz Abbes Mouhiidine. Erano otto anni che un azzurro non raggiungeva una finale: l’ultimo era stato Clemente Russo nel 2013. Aziz Abbes Mouhiidine, però, nonostante l’ottima prestazione, ha ceduto di fronte al colosso cubano La Cruz ai punti, per split decision. Solo argento, quindi, per il poliziotto 23enne.
La Cruz, cinque volte campione del mondo
Nato a Camagüey l’11 agosto 1989, Julio César La Cruz è il capitano della Nazionale cubana di pugilato e senza dubbio la sua stella più luminosa. Con la vittoria a Belgrado, il 32enne è diventato campione del mondo per la quinta volta (Baku 2011, Almaty 2013, Doha 2015 e Amburgo 2017 le altre quattro). Nel 2019, a Ekaterinburg, in Russia, si è fermato al bronzo. Due volte campione olimpico (Rio de Janeiro 2016 e Tokyo 2020, in realtà pochi mesi fa), è stato – proprio a Rio – il primo cubano nella storia a vincere un oro olimpico nella categoria 81 kg. Negli ultimi anni, però, il campione coi guantoni ha combattuto anche con la bilancia, dovendo continuamente cercare di perdere peso per restare tra i mediomassimi. Finché non si è arreso ai suoi 91 chili, proprio la scorsa estate alle Olimpiadi in Giappone, dove ha combattuto nella nuova categoria. Nonostante le preoccupazioni iniziali, però, La Cruz è riuscito a confermarsi anche tra i pesi massimi.
“El Doctor”
Sul ring, La Cruz è implacabile. I suoi punti di forza? Schivare i colpi avversari e colpire rapidamente. Ecco perché gli è stato affibbiato il soprannome “La Sombra”, “L’Ombra”: impossibile colpire l’ombra! In questo, La Cruz è il miglior interprete della filosofia pugilistica di Alcide Sagarra, il più grande maestro di boxe della storia di Cuba: «colpire e far sì che non ti colpiscano». La Cruz, però, più che “La Sombra”, preferisce farsi chiamare “El Doctor” o “El Capitán”.
La dedica a Fidel
Molti, tra i pugili, hanno riti scaramantici prima delle gare. C’è chi non si taglia i capelli e chi, come “El Doctor”, vuole che il primo assistente all’angolo (alla esquina) che gli mette le fasce sulle mani non cambi più. Deve restare sempre lo stesso. Ma da buon cubano, Julio César La Cruz è un fidelista convinto. Tanto è vero che il suo gesto tipico, quello di portare la mano destra alla tempia come faceva il Líder Maximo, è diventato il suo saluto caratteristico (come testimonia la foto principale, tratta dalla pagina Facebook Aiba). «Dedico la mia vittoria a Fidel»: queste le sue parole dopo ogni trionfo.
Patria o muerte
Notevole il suo ultimo oro alle Olimpiadi, la scorso luglio a Tokyo, quando ha sconfitto il cubano naturalizzato spagnolo Emmanuel Reyes. Una sfida nella sfida, dal momento che l’avversario, oltre ad aver abbandonato la sua isola natale, alla vigilia aveva provocato il capitano dei Domadores, schierandosi a favore dei controrivoluzionari – con testa a Miami – che proprio alcuni giorni prima avevano scatenato delle violente proteste in varie zone di Cuba (leggi anche Se volete aiutare Cuba togliete l’embargo). «Patria y vida no! Patria o muerte! Venceremos»: questo l’urlo orgoglioso di La Cruz, che dopo aver sconfitto l’ex cubano ha rigettato lo slogan dei movimenti anti-socialisti, rimettendo al centro quello originale. Figlio della Rivoluzione e fedele al socialismo.
«Cosa sono otto milioni di dollari…?»
Impossibile tacere sui forti legami tra lo sport e la Rivoluzione dei barbudos: proprio il socialismo ha fatto sì che le discipline sportive – baseball e pugilato, ma non solo – siano un perno dell’isola caraibica. Fondate su principi coriacei. Come il rifiuto del professionismo. A Cuba, infatti, non esiste il boxeo rentado. Solo quello amateur. Un esempio? Il mitico Teófilo Stevenson, che, rifiutando le offerte dei promoters statunitensi, che gli proponevano un ingaggio milionario per lasciare la sua terra e passare al professionismo, rinunciò a sfidare Muhammad Ali: «Cosa sono otto milioni di dollari in confronto all’amore di milioni di cubani?». Una frase scolpita nella storia di Cuba. Da Orlandito Martínez (prima medaglia d’oro in assoluto nella boxe per Cuba, a Monaco 1972, scomparso recentemente) a Félix Savón, fino ai Domadores di oggi, il boxeo cubano non tradisce i principi del socialismo. E non smette di vincere.