Cile, la vittoria di Boric è un’altra tappa verso il riscatto dell’America Latina

Il Cile ha eletto il nuovo presidente: è Gabriel Boric. Una svolta storica, perché a guidare il Paese sudamericano sarà un 35enne, il più giovane di sempre alla Moneda. E perché il presidente scelto dai cileni è nettamente di sinistra. Un ballottaggio che ha spazzato via le paure, i dubbi e le incrostazioni di un’era che si spera non torni mai più: quella della dittatura di Augusto Pinochet. Mai finita del tutto, come testimoniava in carne e ossa la candidatura dello sfidante, José Antonio Kast del Frente Social Cristiano, nostalgico dichiarato del pinochetismo, dai carri armati alle politiche neoliberiste.

Gabriel Boric

Boric, ex leader studentesco e oggi presidente eletto alla guida della coalizione Apruebo Dignidad che unisce il Frente Amplio, il Partito comunista e altri partiti di sinistra e di centrosinistra, ha ottenuto il 56% dei voti, contro il 44% di Kast. Suonerà retorico, ma a molti, Inti Illimani compresi, questo trionfo popolare ha ricordato quello di Salvador Allende, socialista eletto nel 1970 e fermato solo tre anni dopo dal golpe dei militari, benedetto dagli Stati Uniti. Ci auguriamo che il destino di Boric sia molto più fortunato.

La festa

Il Cile ha festeggiato tutta la notte, scendendo in piazza tra balli, canti ed esplosioni di quella che potremmo tranquillamente definire una liberazione. Si pensi che Kast, in vantaggio dopo il primo turno, non faceva mistero di ammirare Jair Bolsonaro, l’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori e naturalmente il generale Augusto Pinochet, rimasto in sella dal 1973 al 1990. Uno spauracchio, quello di un ritorno all’oscurantismo, sul fronte economico-sociale e su quello dei diritti, sventato con una partecipazione record al voto: oltre il 56%, che per il Cile è tantissimo.

La festa per le strade di Santiago del Cile. Foto tratta dalla pagina Facebook di Gabriel Boric
Verso un nuovo Cile

È una vittoria della sinistra, ma anche dei giovani, dell’ambiente, delle donne e delle popolazioni originarie, mapuche su tutti. Un Cile variegato, vitale e a testa alta, che ha saputo difendere due anni di estallido social – la massiccia mobilitazione popolare scoppiata nell’ottobre 2019 – e le importanti modifiche all’architettura del Paese. A partire dal processo costituente, avviato con il referendum del 25 ottobre 2020. Che potrebbe mandare in soffitta la Carta del 1980, redatta in piena era pinochetista e rimasta come un cappio a imbrigliare la rinascita del Cile con la cristallizzazione di un sistema economico neoliberista, fondato sul mercato, sulle privatizzazioni e sull’individuo.

Oggi il Cile ha eletto un’Assemblea Costituente che scriverà una nuova Costituzione, inclusiva e attenta alla giustizia sociale, oltre che ai diritti delle minoranze. Da approvare con un successivo referendum. E Boric, che succederà formalmente a Sebastián Piñera nel marzo 2022, dovrà accompagnare il processo costituente affrontando i temi a lui più cari: lavoro, pensioni, sanità pubblica, acqua, ambiente e diritti. Riducendo le enormi disuguaglianze.

America latina
Manifestazioni a Santiago nel 2019. Foto di Stefania Stipitivich
Il riscatto latinoamericano

Ma la vittoria di Boric è anche un’altra tappa del processo di riscatto dell’America Latina, che simbolicamente riparte proprio dal Cile, il primo Paese ad aver inaugurato – nel 1970 – una via democratica al socialismo, non a caso interrotta brutalmente dalla reazione di Washington, passata tristemente alla storia. Un tassello che giunge dopo le vittorie di Lucho Arce in Bolivia – che ha sconfitto la golpista Jeanine Áñez, restituendo al Mas (Movimiento al socialismo) il governo portato via a Evo Morales – e di Pedro Castillo in Perù, uscito vittorioso dal ballottaggio contro la figlia dell’ex dittatore Keiko Fujimori.

Una geografia politica che continua a segnare nuove caselle per le sinistre e in generale per le forze che si propongono di riequilibrare le storture del mercato, contrapponendosi alla destra, al neoliberismo e all’ingombrante egemonia statunitense.

Da Cuba all’Argentina. Puntando al Brasile

Al di là di Cuba, Nicaragua e Venezuela, saldamente ancorate al socialismo, è di meno di un mese fa la vittoria della sinistra in Honduras, con la prima donna a guidare il Paese centroamericano (Xiomara Castro). Così come d’impatto era stata la vittoria dei comunisti in Guyana. Dal Messico di Andrés Manuel López Obrador all’Argentina del peronista Alberto Fernández, la sinistra cresce e conquista terreno, pur non senza difficoltà.

Con due grandi obiettivi per il 2022: strappare la Colombia alla destra uribista oggi rappresentata da Iván Duque e il Brasile all’ultradestra di Jair Bolsonaro. A far sperare sono rispettivamente Gustavo Petro e Luis Inácio Lula. I sondaggi e il vento latinoamericano sono dalla loro parte.