Cile, genesi e protagonisti di un cambiamento
Pubblichiamo oggi la seconda parte della prima intervista ad alcuni personaggi chiave del momento storico che sta vivendo il Cile. La prima protagonista è Carolina Videla Osorio, eletta come Costituente per Arica e Parinacota, regione dove ha sempre vissuto. Esponente del Partito comunista del Cile, nell’Assemblea Costituente è membro e coordinatrice della Commissione per le Scienze, la Conoscenza, le Tecnologie, le Arti, le Culture e il Patrimonio e membro della Commissione di Partecipazione ed Educazione Popolare (qui il link per leggere la prima parte).
Per mantenere aggiornati i nostri lettori è opportuno aggiungere che in questi ultimi giorni l’Assemblea ha rivisto alcune regole del dibattito in sessione plenaria, proprio per risolvere i problemi legati ai tempi che Carolina Videla aveva anticipato.
Parte II
Hai studiato costituzioni straniere? Avete seguito criteri specifici? C’è qualche regola specifica della Costituzione italiana che dovrebbe riflettersi in quella cilena?
«Certo, abbiamo studiato diverse costituzioni, non so se qualcuna in particolare, devo ammettere che non conosco quella italiana. Per esempio in relazione a un argomento così determinante come quale sarà il nuovo modello di sviluppo e la sua relazione con la natura. Il Cile è un paese nella cui terra si nascondono minerali che possono offrire le risorse economiche per permettere gli investimenti necessari per garantire diritti sociali. La Costituzione che stiamo scrivendo deve trovare l’equilibrio tra il modello di sviluppo ed i diritti dei cittadini. E questo deve succedere così come è successo in Ecuador, la cui Costituzione include la natura come soggetto di diritto. Abbiamo stabilito che questa Costituzione deve essere vincolata senza limiti ai diritti umani ed aggiungiamo i diritti della natura perché quando rispettiamo e proteggiamo la natura diamo benefici anche alle persone. Abbiamo studiato la Costituzione messicana per ciò che attiene ai temi culturali e patrimoniali, quella boliviana in relazione allo stato pluri-nazionale.»
Oltre allo studio delle costituzioni, con che criteri vi state muovendo?
«È necessario ascoltare le regioni e in questa logica è anche essenziale considerare come cambiamo la visione della convivenza regionale o come riusciamo a rallentare il paradigma “estrattivista” (così si definisce un’economia basata sull’estrazione di minerali, n.d.r.) e non solo in Cile, ma in generale in tutta l’America Latina. E ci sono enormi problemi di convivenza con l’immigrazione. La nostra regione si trova in una delicata situazione dovuta all’aumento di episodi delittuosi. Questo ha generato nei cittadini una sensazione che tende a omologare la delinquenza con la migrazione che negli ultimi tempi è fortemente aumentata. Alle proteste contro la delinquenza, che trovo legittime per la grave situazione che stiamo affrontando, si sono sommate voci contro le migrazioni. Durante le manifestazioni sono apparsi cartelli che chiedevano il ripristino della pena di morte. Nelle conversazioni a proposito della situazione facevo presente che chi sta migrando oggi sono i nostri fratelli venezuelani, colombiani, haitiani. In altre epoche la migrazione veniva dall’Europa senza che la reazione fosse la stessa. Pertanto, il problema è l’arrivo di migranti o che tipo di migrazione sta arrivando? Quindi, per tornare agli argomenti che vanno inclusi nella Costituzione, questi fatti mostrano quanto sia necessaria un’educazione sui diritti umani nel nostro paese, perché fatti come questo relativizzano la democrazia. Il nostro razzismo xenofobo si istalla in un paese nato grazie alla migrazione e si relaziona oggi con gli aspetti della globalizzazione.»
Tra i temi che ti preoccupano di più ci sono la partecipazione attiva dei cittadini e la difesa di una Costituzione femminista. Nella progettazione della nuova Carta, la democrazia partecipativa ha funzionato abbastanza bene e questo dimostra che nel popolo cileno ci sono interesse e partecipazione. E che i cileni non si limitano a votare. Da dove viene questa consapevolezza?
«Chissà, forse lo potremmo riassumere con uno slogan ripetuto in tutte le manifestazioni che si sono tenute, cominciando da quella del 28 ottobre (2019): “Ci hanno tolto tutto, anche la paura”. La gente ha iniziato a organizzarsi, anche senza essere comunista! Visto che siamo sempre stati quelli che si organizzavano… (ride) perché consideriamo che il valore del costruire è collettivo. Con il massimo rispetto per quelli che sono scesi in piazza a manifestare, devo anche dire che in realtà io appartengo a un’altra generazione, diversa da quella che ha dovuto “svegliarsi”, noi non ci siamo mai persi, tantomeno abbiamo smesso di scendere per strada, anche durante la dittatura e certo durante gli anni di democrazia. Comunque, per rispondere alla tua domanda, appartengo a un gruppo femminile di attiviste per i diritti umani, “Donne in Lutto”. Siamo impegnate nella ricerca della verità e in tutto ciò che c’è ancora da fare in tema di giustizia e diritti umani. Un grande lavoro lo sviluppiamo anche nell’educazione, siamo convinte che possiamo costruire una cultura di pace perché, per esempio, sin dall’infanzia si possa crescere felici e con il diritto di scegliere la propria vita, visto che non si può generalizzare o universalizzare ciò che consideriamo felicità. Abbiamo quindi iniziato ad osservare quello che succedeva nelle “poblaciones” (sono così chiamate le zone urbane di tutte le dimensioni caratterizzate da una popolazione di fascia medio-bassa, bassissima o semplicemente povere, n.d.r.) ed abbiamo scoperto che la gente in coincidenza con il periodo della protesta era ritornata a sedersi nelle piazze a conversare. Tuttavia, la maggior parte di quelli che si stavano organizzando non erano né comunisti né militanti, non appartenevano ad alcun partito politico. Abbiamo iniziato ad ascoltare parole come “cabildo” (organo collegiale che governava un municipio, la definizione oggi ha acquisito un senso legato alla conversazione, n.d.r.) che da anni non venivano pronunciate. La gente nelle piazze, seduta in circolo, conversava a proposito di come risolvere la situazione e “che già l’abuso era sufficiente”. Sono convinta che tutto questo si sia riprodotto nei luoghi di lavoro e nelle piazze di tutto il Cile.»
Tutto questo lavoro collettivo è riuscito a ridurre, almeno in parte, le stigmate comuniste?
«(ride) Le stigmate comuniste non sono state cancellate, l’anticomunismo è molto radicato nel nostro paese. Tuttavia facciamo parte di differenti spazi collettivi, al lavoro, con gli amici. Durante la pandemia (noi comunisti ad Arica) abbiamo creato una rete di aiuto alimentare che ancora funziona. Non lo propagandiamo, facciamo arrivare alimenti a chi ne ha bisogno, lavorando in armonia con altri gruppi che sono al corrente della nostra posizione politica. Così si rompono i miti, le persone finiscono con conoscerci, siamo persone normali in carne e ossa e non mangiamo bambini (ride). Ora sul comunismo ci si scherza anche un po’ su e questo fa bene.»
Tornando alla Costituzione, c’è un numero enorme di “iniziative di legge popolare”: come sarete in grado di valutarle tutte? Per favore, spiegaci l’origine e che tipo di trattamento darete loro nella scrittura della Costituzione.
«Abbiamo aperto il processo di ricezione online delle iniziative di legge popolare il 23 novembre, la scadenza per la ricezione delle firme era fissata al 1° febbraio. Effettivamente faccio anche parte della commissione di Partecipazione popolare. Io, con il mio gruppo di lavoro, ed altri Costituenti, con i loro rispettivi gruppi, abbiamo seguito il processo riunendoci tutti i martedì e giovedì a mezzogiorno per analizzare le proposte normative sottoposte nei giorni precedenti e che la segreteria di “Partecipazione” aveva già controllato e diviso tra le proposte ammesse, quelle che abbisognavano di correzione e quelle inammissibili. Secondo criteri pre-approvati (riguardare norme costituzionali e non invalidare trattati internazionali sottoscritti dal Cile in materia di Diritti Umani), dovevamo dare validità alle scelte, modificarle o respingere l’analisi fatta dalla Segreteria. Tra tutto quello che abbiamo ricevuto, ci siamo visti costretti a chiedere spesso correzioni e alcune delle proposte non sono state poi ricaricate nella piattaforma. Alla fine, in totale, sono risultate valide 78 proposte, avendo raccolto le 15mila firme necessarie e poco più di 100 quelle di iniziativa popolare indigena, che invece abbisognavano di 120 firme. In questo momento (venerdì 4 febbraio) si stanno distribuendo tra le sette commissioni competenti. Tutte le iniziative che non hanno raggiunto le firme necessarie verranno sistematizzate genericamente, separate per argomento e pubblicate in un solo documento che sarà messo a disposizione dei membri della Costituente affinché possano consultarlo. Non era dovuto, però pensiamo che sia giusto. E va anche detto che questo impedimento è dovuto ai tempi che ci sono stati imposti dall’Accordo di Pace.
In ogni caso la partecipazione non si è limitata a questo. All’inizio, nelle commissioni provvisorie, abbiamo dato udienza a moltissime organizzazioni e comuni cittadini. Facevo parte di quella sui Diritti umani dove abbiamo fatto più di 350 udienze. E c’è anche da considerare che tutto ciò è stato trasmesso dal vivo. Ed anche a partire dal 18 ottobre, momento in cui la Commissione si è formata definitivamente, stabilito il regolamento ed iniziato il dibattito sui contenuti, non abbiamo smesso di ricevere organizzazioni. Questo ci dà speranza perché questa partecipazione legittima il processo. La gente vuole partecipare, perciò, nonostante sia molto faticoso, manteniamo il contatto. Anche durante i fine settimana. Per quello che mi riguarda, a parte il pomeriggio della domenica che è sacro (ride), i fine settimana sono destinati al lavoro sul territorio.»
E in relazione al tuo secondo cavallo di battaglia, la Costituzione femminista? Quali sono i risultati più significativi?
«Come primo punto stabilire che la parità è la base e non il limite, abbiamo ribadito più volte che ci aspettiamo rappresenti un sentire comune, consolidato nel futuro. Non si tratta solo di ricordare l’importanza della parità nella Costituente e di essere stati un esempio mondiale, non possiamo poi ritornare alle stesse proporzioni di prima, con la prevalenza di uomini negli incarichi importanti. Si tratta di puntare a un progresso sostanziale. Si sono proposte norme che puntano a un sistema di giustizia femminista per far fronte alla cultura maschilista e patriarcale. In realtà è radicata in tutto il mondo, ma qui fa sì che ancora non siano garantiti i diritti sessuali e riproduttivi: è necessaria quindi una norma che stabilisca che le donne hanno il diritto di decidere. Lo stato deve garantire il diritto all’aborto legale, sicuro, gratuito e senza discriminazione. E proteggere la decisione con fondi ed attraverso le sue istituzioni. È necessaria un’educazione sessuale integrale che in questo paese non esiste. Puntiamo anche all’ampliamento della presenza femminile nei luoghi di potere, nella presa di decisione e in tutte le aree di sviluppo e sul territorio. Il nostro obbiettivo è quello del pieno sviluppo della condizione femminile. Non dimentichiamoci che il “cuidado” (cure, assistenza, lavori domestici, n.d.r.) non è riconosciuto nel nostro paese. Tuttavia, questo lavoro fornisce un importante contributo allo sviluppo del paese. Questo lavoro invisibile permette all’uomo lavoratore di uscire di casa in buone condizioni con abiti puliti e stirati, gli permette una vita sana perché ben alimentato. Quindi il nostro obbiettivo è che anche il lavoro domestico ottenga un riconoscimento. E, nell’ambito del lavoro subordinato, che le lavoratrici ottengano lo stesso stipendio o salario o pensione dei loro colleghi uomini. Per ultimo, in ordine e non per importanza, menziono il tema della violenza sulle donne, che in Cile si mantiene a livelli altissimi.»
Stiamo parlando di norme proposte o di temi da discutere?
«Norme che sono già state proposte e formulate nelle varie commissioni: giustizia, principi, sistema politico ed alla commissione dei diritti umani che è quella che in assoluto ne riceve e formula di più. Chiaramente dovranno affrontare il dibattito.»
Dalla redazione di Ventuno chiedono come funzionerà la gestione del territorio in caso di approvazione dello stato plurinazionale.
«Innanzitutto lo stato plurinazionale (recentemente approvato anche in sessione plenaria, n.d.r.) ha come premessa la dichiarazione dello stato pluri-culturale e da lì si determinano i meccanismi perché ad ognuno dei popoli che lo compongono siano attribuite capacità di autodeterminazione nel proprio territorio. È anche necessario che ai popoli originari sia garantito uno spazio di potere politico nel Congresso. Inoltre si deve garantire loro autonomia educativa formale e popolare. È necessario cambiare questa logica educativa occidentalizzata che ha retto fino ad oggi, e questo a partire dal concetto di stato plurinazionale dove tutte le culture che appartengono alle nazioni devono essere insegnate e divulgate. Per quanto riguarda quello che succederà nei territori, la trasmissione della loro cultura e la presa di decisione saranno scelte di ciascuno dei popoli che abiteranno le nazioni. Per quanto riguarda il territorio, posso fare l’esempio del popolo aymarà che è il più grande nel nord del Cile, ha un territorio con confini chiari. Ciononostante, e questo ha provocato un’azione legale, solo un paio d’anni fa il governo ha assegnato all’esercito novemila ettari di quel territorio, senza considerare che inoltre garantiva il passaggio a un altro popolo (per convenzioni antichissime i popoli originari stabiliscono norme di transito per gli spostamenti di persone appartenenti a popoli non residenti, n.d.r.).»
Quindi, oltre al popolo mapuche, anche per altri popoli c’è già coincidenza tra la popolazione ed il territorio che abitano.
«Certamente, il popolo aymarà è secondo al popolo mapuche in quanto a integranti.»
Infine, per capirci bene, non si tratta solo di stabilire dei confini territoriali ma di stabilire autonomie decisionali, legali, normative, culturali ed educative che coincideranno con i territori di appartenenza.
«Esattamente. E sarà un percorso molto interessante.»